giovedì 28 ottobre 2010

Il profumo

Titolo: Il profumo
Titolo originale: Das Parfum - Die Geschichte eines Mörders
Autore: Patrick Süskind
Anno: 1985


Il libro…

Come ci avvisa Süskind fin dalle prime righe del romanzo, Profumo è la storia di un personaggio tutto genio e scelleratezza di cui nessuno si ricorda, pur essendo stato tra le figure più crudeli e geniali fra quelle che hanno popolato il XVIII secolo.

Copertina dell'edizione tedesca
Il malvagio di talento in questione risponde al nome di Jean-Baptiste Grenouille (“ranocchia”), parigino venuto alla luce nel punto più puzzolente della città, partorito fra gli scarti maleodoranti del mercato del pesce. E proprio sugli odori e sulle sue straordinarie capacità di saperli riconoscere che si fonda l’incredibile vita di Grenouille. Dietro quell’aspetto da insignificante plebeo, si nasconde una persona speciale, dotata di un olfatto prodigioso, finissimo e sviluppatissimo, in grado di cogliere, distinguere, memorizzare e ricreare qualsiasi odore e profumo, fin nelle sue più piccole varianti. 
Resistente e profittatore come solamente alcuni esseri viventi sanno essere – le zecche, per esempio – Grenouille sopravvive e supera tutte le difficoltà che il destino gli riserva fin dalla nascita. Con lo stesso spirito di adattamento dei parassiti più resistenti si attacca alla vita anche quando questa lo pone di fronte a situazioni estreme. Incominciando dalla prima infanzia, con l’abbandono da parte di sua madre, continuando con gli anni trascorsi all’orfanotrofio, passando attraverso il massacrante lavoro nella conceria e quello intenso e non meno faticoso nella bottega profumiera, sfruttato dal vanesio Baldini. Per non parlare delle malattie che l’hanno colpito, fino a giungere al lungo periodo di eremitaggio sui monti della Provenza e al momento dell’arresto e della tortura.
Benché sia un essere, a prima vista, insignificante e meschino che non ispira né simpatia né amore né pena nel prossimo, Grenouille non passa completamente inosservato. Chi gli sta accanto o entra in contatto con lui si sente inspiegabilmente pervaso da uno strano e indefinito senso di disagio. Individuo sfuggente e in apparenza remissivo, emana una forte energia negativa, come circondato da un’aura di malvagità. Non è un caso che chi ha a che fare con Grenouille andrà incontro a una brutta fine.
Gli odori e i profumi sono le uniche cose che contano nella sua misera esistenza. Privo dei più elementari sentimenti umani quali amore, rispetto, affetto o riconoscenza, Grenouille agisce spinto solamente dallo sfrenato desiderio di controllare gli odori delle cose e degli esseri viventi – di arrivare alla loro essenza – e attraverso quelli, di poter disporre del cuore degli uomini.
E la sua ossessionata ricerca dell’aroma segreto delle cose lo porta a commettere, nella totale e fredda indifferenza, i peggiori crimini. Un paradosso per uno che è nato senza odore.  

…dal libro al film…


Ragazza nel distillatore - scena del film

L’impresa non era per nulla facile, eppure il regista tedesco Tom Tykwer ha mostrato coraggio e abilità, riuscendo nell’intento di trasformare gli odori descritti da Süskind in immagini. Le potenti e, per certi versi, impressionanti scene iniziali nel mercato del pesce, quelle dai toni scuri e freddi che caratterizzano il suo apprendistato dal profumiere italiano Baldini a Parigi e quelle calde del suo periodo in Provenza catturano lo sguardo dello spettatore, lo ipnotizzano, valendo – per non essere originali – il prezzo del biglietto. Stupiscono e impressionano anche le scene dello stupefacente procedimento di estrazione del profumo dai corpi delle giovani donne, messe a macerare in quel suggestivo enorme alambicco distillatore, e quelle dell’orgia sfrenata consumatasi nella piazza di Grasse.
Bersagliato da tante – troppe – e ingiustificate critiche, la pellicola, invece, si fa guardare con grande piacere. Anche se non tutto fila sempre liscio e qualche volta accade che la forma abbia la meglio sull’emozione (con il risultato di apparire un po’ tutto troppo in “alta definizione” patinato e di maniera), il film restituisce bene l’atmosfera del libro.
Bravo Ben Whishaw nei panni del maligno “ranocchio” che dietro uno sguardo impaurito da cane abituato a prendere bastonate e calci nasconde, invece, una natura da efferato criminale.  
Meno azzeccata, se si vuole fare un confronto con il personaggio di carta, l’interpretazione di Dustin Hoffmann del profumiere italiano Giuseppe Baldini: molto (e forse troppo) caricaturale.

Dati film:

Titolo: Profumo – Storia di un assassino
Titolo originale: Perfume: The Story of a Murderer
Regista: Tom Tykwer
Sceneggiatura: Andrew Birkin, Bernd Eichinger, Tom Tykwer (romanzo: Patrick Süskind)
Interpreti:
·         Ben Whishaw (Jean-Baptiste Grenouille)
·         Dustin Hoffmann (Giuseppe Baldini)
·         Alan Rickman (Richis)
·         John Hurt (narratore-voce)
Anno: 2006
Paese: Germania, USA, Francia, Spagna
Colore: Colore
Durata: 147 minuti
Genere: Drammatico/Thriller
Internet Movie Data base


domenica 24 ottobre 2010

Le vergini suicide

Titolo: Le vergini suicide
Titolo originale: The Virgin Suicides
Autore: Jeffrey Eugenides
Anno: 1993

Jeffrey Eugenides
Il libro…

Le cinque giovanissime e biondissime sorelle Lisbon erano morte nel volgere di un anno. Tutte e cinque si erano suicidate nella loro casa, in una tranquilla e agiata periferia nel nord degli Stati Uniti, nel cuore degli anni Settanta. La prima ad andarsene era stata la piccola Cecilia, 13 anni. Ci aveva provato tagliandosi le vene dei polsi ma era stata salvata in extremis. La seconda volta, per essere sicura di riuscire nel suo intento, si era gettata dal primo piano della loro casa sulle punte della cancellata sottostante. Era avvenuto solamente qualche settimana dopo. Si era allontanata dalla tavernetta dove sua madre, la signora Lisbon, aveva organizzato l’unica festicciola a cui avrebbero mai partecipato, con imbarazzanti addobbi di cartapesta e punch rosso fuoco inclusi. Mentre le altre sorelle chiacchieravano con i pochi ragazzi invitati, Cecilia era salita di sopra e aveva portato a termine quello che aveva cominciato con il taglio delle vene. Da quel tragico momento le cose erano cambiate e sempre in peggio fino a che anche l’ultima figlia dei Lisbon, Mary, era morta dopo aver ingerito una buona dose di sonniferi.
Nel frattempo, tra il primo e l’ultimo suicidio, era trascorso un intero anno, segnato dalla progressiva scomparsa dalla vita sociale delle quattro restanti sorelle Lisbon. Represse in ogni loro espressione adolescenziale e costrette a sottostare al controllo, asfissiante e oppressivo, di una madre bigotta e di un padre senza volontà e rassegnato alla tirannia della moglie, le ragazze vivevano in un mondo separato e distante da quello dei loro coetanei. Quindi niente feste, ragazzi, sesso in auto e uscite la sera. Esistevano, avevano una presenza fisica, stavano in mezzo agli altri ma nessuno poteva giurare di conoscerle sul serio. Si aggiravano nel quartiere e nel cortile della scuola come delle creature strane e misteriose, apparentemente a portata di mano, ma nella pratica irraggiungibili, come se a dividere e a impedire un contatto tra loro e il resto della comunità di ragazzi ci fosse stata una membrana impermeabile.
Un’eccezione alle solite e ferree regole era stata concessa dalla signora Lisbon in occasione del ballo di fine anno. Ma quella deviazione alla norma non aveva fatto altro che accelerare il tragico destino delle Lisbon. La disubbidienza sull’orario di rientro a casa di una di loro – la vitale e irrequieta Lux – era costata cara a tutte e quattro le sorelle. La punizione era arrivata puntuale e durissima: totale segregazione dal mondo e ritiro dalla scuola.
Così mentre le sorelle - chiuse nelle loro camere sempre più disordinate - si spegnevano poco a poco, in attesa di dare il taglio definitivo alle loro vite, gli alberi del quartiere venivano abbattuti per colpa di un insetto parassita che li stava divorando dall’interno.

A raccontarci quel periodo è un narratore collettivo formato dai ragazzi di allora, vicini di casa e compagni di scuola delle cinque ragazze. Oramai adulti, ripercorrono i fatti accaduti venti o trenta anni prima, con una dolorosa nostalgia per ciò che non è stato e con la strana sensazione di aver irrimediabilmente perso qualcosa. Per fermare i ricordi si aggrappano agli oggetti che nel corso del tempo sono riusciti a recuperare da casa Lisbon, frammenti di quotidianità dove s’illudono di percepire la vitalità delle ragazze. Sebbene in misura diversa, ieri come oggi sono rapiti, innamorati e anche ossessionati dalle cinque sorelle, così inaccessibili, diverse e lontane da tutte le altre ragazze che potevano liberamente frequentare e da tutte le donne che hanno conosciuto. Con e grazie a loro avevano scoperto il brivido dell’amore, del desiderio sessuale e della complessità del mondo femminile. Le Lisbon non hanno ancora smesso di influenzare le loro vite, dolorosamente consci di aver lasciato qualcosa d’importante in quell’estate a metà degli anni Settanta.

…dal libro al film…

Le 5 sorelle Lisbon - scena del film
Il ricchissimo e suggestivo libro di Eugenides, con le sue immagini inconsuete e i suoi accostamenti inaspettati trova piena realizzazione nello struggente e malinconico film d’esordio di Sofia Coppola. Forse si è davanti a uno di quei rari casi in cui la pellicola riesce a completare il libro. Non nel senso che il film aggiunge dei significati che al romanzo mancano, ma che visione e lettura si costituiscono come un’esperienza unica, da vivere nell’ordine che uno desidera (prima libro, poi film o viceversa).
Se nel libro si è catturati dalla scrittura avvolgente di Eugenides, nella pellicola si resta affascinati dalle immagini costruite dalla Coppola.
Efficace l’uso dei colori: toni caldi come giallo, arancione e biondo per descrivere l’atmosfera sognante e maliziosa che aleggiava intorno alle ragazze quando ancora erano vive e vitali (in molte inquadrature in atteggiamenti che paiono ricordare le vecchie pubblicità di quel famoso shampoo che prometteva “mai più lacrime”). Toni freddi come l’azzurro e il verde, invece, per esprimere la sofferenza nel dover rinunciare alla vita e per sottolineare il loro lento scomparire, prima dagli occhi della gente e poi dal mondo.

Un piacere veder sorridere, muoversi e ammiccare alla cinepresa Kirsten Dunst, qui nei panni di Lux. In perfetta forma anche James Woods, padre affettuoso ma un po’ svagato e schiacciato dalla personalità della moglie, e Kathleen Turner, madre puritana e incomprensibilmente rigida.  
La colonna sonora originale del gruppo francese Air, oltre a diversi brani dei Settanta, sottolinea in maniera puntuale l’andamento della pellicola.
Da vedere e rivedere per scoprire, a ogni passaggio, qualche dettaglio in più.

Dati film

Titolo: Il giardino delle vergini suicide
Titolo originale: The Virgin Suicides
Regista: Sofia Coppola
Sceneggiatura: Sofia Coppola (romanzo: Jeffrey Eugenides)
Interpreti:
·         James Woods (Ronald Lisbon)
·         Kathleen Turner (Sig.ra Lisbon)
·         Kirsten Dunst (Lux Lisbon)
·         Josh Hartnett (Trip Fontaine)
Anno: 2000
Paese: USA
Colore: colore
Durata: 97 minuti
Genere: drammatico

domenica 17 ottobre 2010

Fight Club

Titolo: Fight Club
Titolo originale: Fight Club
Autore: Chuck Palahniuk
Anno: 1996

Il libro…

Copertina della prima edizione americana
Un anonimo protagonista, frustrato, insonne e un po’ nevrotico, ci guida attraverso la  sua crescente insoddisfazione nei riguardi di un’esistenza – personale e sociale – di cui non trova più il significato e di cui ormai non condivide più i valori. Fa l’assicuratore, è benestante e ha un bell’appartamento, ma nel tempo libero ama frequentare gruppi di sostegno per malati terminali e per persone con un disagio psichico.
La sua vita cambia quando s’imbatte in un tipo enigmatico e di grande carisma di nome Tyler Durden. Proiezionista e cameriere a tempo perso, Durden è una via di mezzo fra il guru, l’agitatore e il terrorista anarcoide; predica la ribellione alla società dei consumi e lavora in segreto per sabotarne le certezze. Parte fondando un fight club, ovvero un circolo dove – in totale segretezza – altri frustrati e insoddisfatti annegano le sconfitte personali nella violenza e nell’autolesionismo. Continua a costruire il proprio progetto rivoluzionario reclutando nuovi e sempre più numerosi adepti. Per finanziarsi vende sapone che produce grazie all’aiuto dell’esercito che man mano va formando.  
Tra l'anonimo narratore e Durden s'inserisce Marla, una ragazza che ha più volte oltrepassato l’orlo della crisi nervosa, ipocondriaca e soggetta a spaventosi sbalzi d’umore.
I tre non possono che trovarsi e stringere un legame sempre più intenso che li condurrà, in una continua escalation,  ad andare a vivere insieme, ad abbandonare le proprie singole esistenze e a confondersi, forse, l’uno con l’altro.

Ossessioni, fobie e valori della “generazione di uomini cresciuti da donne”. Nel folgorante primo romanzo di Chuck Palahniuk c’è tutto degli anni Novanta e non solamente. La paura delle malattie, la vita dei single, l’omologazione e l’impersonalità di lavori noiosi e ripetitivi, la frustrante sensazione di quando ci si accorge che non si prova nessun piacere o desiderio nel rimanere nei ranghi del sistema. Nel soffocante mondo del benessere e dei consumi obbligatori, l’autodistruzione diviene la sola strada percorribile. S’incomincia dalle proprie cose e si arriva a se stessi. Si abbandona, si distrugge, ci si trasforma: la bella casa, il lavoro, la carriera, le donne, la propria identità fino a non sapere più chi si è veramente. La (auto)violenza e il dolore (fisico) sono i mezzi per raggiungere una nuova consapevolezza di sé, per trovare – o almeno cercare – la liberazione. La bella casa arredata Ikea, una serie di camice bianche ben stirate e una professione ordinaria non sono che la copertura sotto la quale si nascondono le nevrosi e le debolezze. Il fight club con i suoi incontri segreti e le sue regole ferree da rispettare diventa un punto di riferimento per un numero sempre maggiore di persone. Ma la lotta continua anche montando frammenti di film porno all’interno dei cartoni animati, sputando nei piatti di facoltosi clienti, arrivando in ufficio con la faccia devastata dai pugni, creando un mini esercito di fedeli, producendo sapone: l’obiettivo è sabotare ciò che esiste e instaurare un nuovo ordine. Questo, tuttavia, sarà così disordinato, individualista e anarchico che forse non potrà mai funzionare.

…dal libro al film…

Il film di David Fincher (già regista di Seven e The Game) riproduce alla perfezione le atmosfere paranoiche e deformate del libro. Toni cupi e lividi, buio e luci al neon, scene violente di forte impatto, montaggio di grande effetto che dà ritmo al film e valorizza ancora di più il finale a sorpresa, frasi divenute di culto ben dosate tutto lungo la pellicola e infine le ottime interpretazioni di attori in grande forma fanno di Fight Club un’ottima pellicola. Tornando agli attori, perfetto sia il protagonista/narratore Edward Norton sia il suo alter ego/inseparabile compagno Tyler Durden (Brad Pitt) sia la nevrotica e paranoica Marla Singer (Helena Bonham Carter): tutti e tre sanno rendere bene l’idea di quella spirale di autoconsumo e di degradazione fisica e psichica che i personaggi subiscono nel libro.



Dati film

Titolo: Fight Club
Titolo originale: Fight Club
Regista: David Fincher
Sceneggiatura: Jim Uhls (romanzo: Chuck Palahniuk)
Interpreti:
·         Edward Norton (narratore anonimo)
·         Brad Pitt (Tyler Durden)
·         Helena Bonham Carter (Marla Singer)
·         Meat Loaf (Robert Paulson)
Anno: 1999
Paese: USA, Germania
Colore: Colore
Durata: 139 minuti
Genere: Drammatico
Internet Movie Data base

martedì 12 ottobre 2010

Il signore delle mosche

Titolo: Il signore delle mosche
Titolo originale: The Lord of the Flies
Autore: William Golding
Anno: 1954

Il libro


Copertina della prima edizione inglese - 1954

Un aereo civile precipita su un’isola deserta in mezzo all’Oceano Pacifico; all’impatto sopravvivono solamente dei ragazzini inglesi e nessun adulto, con i più grandi che non superano i dodici anni. Con sé non hanno null’altro che le loro divise da perfetti collegiali dell’upper class britannica, decisamente inadatte alla vita su di un’isola selvaggia.
Benché nel romanzo si conoscono da vicino alcuni fra i piccoli naufraghi, la storia procede e si sviluppa soprattutto attraverso il rapporto dialettico – sempre più intenso e conflittuale – tra tre di essi: Ralph, Jack e un grassoccio e occhialuto ragazzino perfidamente soprannominato “Piggy”.         
Da principio è Ralph che prende in mano la situazione, riproponendo sull’isola le stesse regole che fanno funzionare le società civili: libertà di parola, suddivisione dei compiti e democrazia, con un capo eletto a maggioranza. Una grossa conchiglia diviene il simbolo del vigente ordine democratico; con il suo suono si convoca l’assemblea e chi la tiene in mano ottiene il diritto a parlare.
In un primo momento tutto sembra funzionare, con Ralph leader del gruppo, sostenuto da Piggy in qualità di consigliere e con gli altri ragazzi – tra cui Jack – pronti a fare ognuno la propria parte, dallo stare di guardia al fuoco affinché non si spenga, al cacciare piccoli animali.
Ma l’armonia e l’atmosfera quasi giocosa che regnano sull’isola sono destinate a durare  poco. L'originaria coesione fra i piccoli naufraghi, comincia a essere minata da continui screzi fra i diversi gruppi che si sono andati creando con il passare delle settimane. L'episodio più grave, che segna un  punto di non ritorno, riguarda l’accidentale spegnimento del fuoco causato dai "cacciatori" capeggiati da Jack. Quest’ultimo ha stabilito un legame molto forte con il proprio gruppo, esercitando su di esso un sempre maggior ascendente, fino ad arrivare al controllo totale delle coscienze. Ogni giorno che passa, cresce la sua insofferenza per l’autorità di Ralph e per quelle norme che dovrebbero regolare la loro micro-comunità.
Persa la spensieratezza dei primi tempi, tra i ragazzi s'insinua la paura. Attecchiscono strane e irrazionali superstizioni sottoforma di un non meglio specificato mostro che abiterebbe l’isola e che alcuni di loro, specialmente fra i più piccoli, dicono di avere visto.  
Jack allora rivendica il comando: è lui il più forte e il solo in grado di proteggere tutti dal terribile Signore delle Mosche. La comunità si spacca e a poco a poco tutti i bambini abbandonano Ralph e Piggy per passare con il nuovo capo Jack e i suoi temibili “cacciatori”.

Nel fortunatissimo romanzo di Golding quello che fa più impressione è come il passo verso la violenza e l’imbarbarimento sia così breve. Spaventa come la tribù e le sue crudeli leggi possano rapidamente soppiantare quelle di una società civile basata sulla convivenza pacifica.  

…dal libro al film…

Il signore delle mosche - scena tratta dal film
Dal libro sono state tratte due versioni cinematografiche una girata nel 1963 e l’altra nel 1990. Quella a cui faccio riferimento in questo post è la prima, realizzata dal regista teatrale britannico Peter Brook, qui al suo terzo film.
Tanto drammatico il libro, quanto noiosa e poco coinvolgente – dal punto di vista emotivo ed intellettuale – è la pellicola. Questa non è certo una regola. Anzi.  Infatti, esistono film che migliorano i libri da cui sono stati tratti e pellicole che riescono a completare o a rafforzare ciò che è stato scritto nel romanzo. Qui purtroppo non è accaduto né l'una  né l'altra cosa.
Nonostante alcune belle e suggestive immagini (dell’isola e di alcuni primi piani) e la coerenza ai temi trattati da Golding (l’innata cattiveria dell’uomo e il pessimismo sulla possibilità di vivere in società pacifiche) il film fa veramente fatica a decollare. Non si respira – se non per brevissimi momenti – quell’atmosfera di paura e angoscia che a poco a poco cresce all’interno della piccola comunità di ragazzi. Non ci sono né pathos né tensione drammatica: le brutalità e le violenze, ben descritte nel romanzo, qui vengono appena tratteggiate o di molto ammorbidite. Gli stessi e sempre più laceranti dissidi fra i ragazzi perdono di ogni intensità e appaiono smorzati. Tutto sembra così lontano e ovattato che quasi quasi non desta alcuna impressione.
Si punta molto a “spiegare” – attraverso lunghi dialoghi fra i protagonisti – piuttosto che “mostrare” come anche degli innocenti ragazzini portino dentro di sé il germe della cattiveria.

Da segnalare l’agghiacciante doppiaggio in italiano (e la scelta incomprensibile di tradurre “Piggy” con “Bombolo”!).       


Dati film

Titolo: Il signore delle mosche
Titolo originale: The Lord of the Flies
Regista: Peter Brook
Sceneggiatura: Peter Brook, (romanzo: William Golding)
Interpreti:
·         James Aubrey (Ralph)
·         Tom Chapin (Jack)
·         Hugh Edwards (Piggy)
Anno: 1963
Paese: Gran Bretagna
Colore: bianco e nero
Durata: 92 minuti
Genere: avventura/drammatico
Internet Movie Data base

giovedì 7 ottobre 2010

Il Codice Da Vinci

Titolo: Il Codice Da Vinci
Titolo originale: The Da Vinci Code
Autore: Dan Brown
Anno: 2003


Il libro

La copertina della prima edizione USA
Il contesto. Esisterebbero verità alternative e per lunghissimo tempo occultate in grado di cambiare non solamente la storia del cristianesimo ma anche quella dell'Occidente in generale. In sintesi: Gesù Cristo avrebbe avuto dei figli e il sacro Graal non sarebbe il calice dell'Ultima Cena, ma un simbolo per  indicare Maria Maddalena, sua  compagna o moglie. Una società segreta, chiamata Priorato di Sion, s’incaricherebbe di tener vive queste verità da circa 2000 anni, lottando senza tregua contro la Chiesa che, invece, le negherebbe e vorrebbe metterle per sempre a tacere.
La millenaria e sotterranea guerra che si combatte tra chi ha il compito di preservare e tramandare queste travolgenti verità e chi, invece, le nega e vorrebbe cancellarle, aumenta d’intensità quando viene ucciso Jacques Saunière, curatore del Museo del Louvre e, in segreto, membro del Priorato di Sion. Saunière viene trovato nudo e nella posa dell’uomo vitruviano di Leonardo; accanto a sé ha un’apparentemente incomprensibile sequenza numerica e il nome di un noto studioso di simbologia religiosa, il professore americano Robert Langdon. A Parigi per presentare il suo ultimo libro, Langdon viene interpellato dalla polizia; portato sul luogo del crimine, incontra Sophie Neveu crittologa e nipote di Saunière. I due sembrano subito intendersi, al contrario di quello che avviene con le autorità francesi, già convinte della colpevolezza del professore.
Da qui in poi la vicenda comincia a correre davvero veloce, sviluppandosi in un susseguirsi di colpi di scena. Nel volgere di qualche centinaio di pagine ci si trova coinvolti in fughe rocambolesche, sparatorie, omicidi, doppi giochi, tradimenti, enigmi e rompicapo a prima vista insolubili e folgoranti intuizioni da far impallidire Archimede con il suo “Eureka!”.
Benché i personaggi risultino piatti e grigi e la scrittura non brilli certo per originalità, la storia è intrigante e costruita con grande bravura. Gli ingredienti d’altronde sono gustosi, oltre che miscelati e pensati per attirare la curiosità: Gesù e il suo rapporto con le donne, la Chiesa e i suoi misteri, gli immancabili Templari e il Santo Graal, l’Opus Dei e le sue trame occulte, oscure società segrete e tremendi complotti, un monaco albino invasato pronto a uccidere, poliziotti ottusi e verità alternative e sconvolgenti tenute nascoste.
Dan Brown è un maestro nell’incollare il libro alle dita del lettore. Romanzo da buttare giù tutto in un fiato, di quelli che se li incominci il sabato pomeriggio ti portano a fare le ore piccole la domenica notte, mentre ad ogni pagina ti ripeti: “leggo l’ultima e poi spengo la luce”. Questo "perverso" meccanismo a spirale risulta più evidente nell’ultima parte, dove i capitoli sono talmente corti da non superare le cinque pagine!

Oltre a essere campione per numero di copie vendute (si parla di più di 70 milioni nel mondo), il Codice Da Vinci è arrivato primo anche per quantità di polemiche sollevate. Appena dopo la pubblicazione, è stato lo stesso Brown a presentare i fatti narrati come il frutto di una fedele e rigorosa ricostruzione storica, confondendo – forse per ragioni di marketing e forse per rendere ancora più intrigante la trama agli occhi del lettore – fiction e non-fiction.
Il successo planetario e la materia trattata – che sarebbe riduttivo definire “scottante” (la presunta paternità di Cristo e robe simili) – hanno scatenato una vera e propria bufera intorno al libro. Storici, teologi, alti prelati, congregazioni religiose si sono scagliati contro il romanzo, denunciandone le inesattezze, le incongruenze e l’immoralità. Se qualcuno ha scritto pamphlet e articoli per demolirne e confutarne le tesi, altri sono arrivati ad invocare un aggiornamento dell’Indice dei libri proibiti, in cui Il Codice Da Vinci meriterebbe di finirci. Giornali e televisioni non aspettavo altro, contribuendo a tenere vivo il polverone intorno alla vicenda. Complice poi l’uscita del film, l’onesto prodotto culturale di Brown è stato caricato di significati e di responsabilità che probabilmente non ha e che non è in grado di sopportare. Trasformato in un caso attorno al quale darsi battaglia, ha originato la più classica delle divisioni tra i “favorevoli” e i “contrari”…


…dal libro al film…


Ron Howard
Non è la prima volta che Ron Howard ha la fortuna di avere tra le mani una storia cinematograficamente interessantissima; gli era già capitato nel 1985, con Cocoon – L’energia dell’universo. Purtroppo, oggi come allora, ci si trova davanti a un'occasione persa, con un risultato finale non proprio all’altezza delle aspettative.
Quello che manca non sono certo né la tecnica o la “confezione”, sempre piuttosto buone e curate, né le risorse economiche, sempre abbondanti, ma un po’ più di coraggio e di personalità. Forse per paura, per calcolo o per incapacità, non si va mai oltre la superficie delle cose. Purtroppo però limitandosi alla pura e semplice riproposizione su pellicola del plot del libro si finisce per appiattire e silenziare ogni emozione, ogni sussulto. L’appassionante processo di decrittazione e scioglimento dei vari enigmi è liquidato abbastanza in fretta e senza quella dovuta tensione. Stesso discorso vale per le fasi salienti del disvelamento dei misteri della vita di Gesù, del Priorato di Sion e dei secolari complotti per abbatterlo: paiono piovere dal cielo, senza nessun pathos e nessuna preparazione. Anzi, per illustrarli Howard si affida alla grafica computerizzata o a ricostruzioni che sembrano più adatte a una trasmissione tv di divulgazione pseudo-scientifica (tipo Voyager, per intenderci) che a una pellicola di buon livello…  
Gli attori poi non fanno nulla per scostarsi dalla già denunciata piattezza dei personaggi inventati da Brown; tuttavia da professionisti del calibro di Tom Hanks e Audrey Tautou ci si aspetterebbe qualche sforzo in più!
Freddi e rigidi, sono pronti per il museo delle cere. Ma non è tutto. Poco affiatati, in alcuni momenti danno l’impressione di non aver recitato insieme sullo stesso set, ma ognuno per conto proprio, per ritrovarsi riuniti solamente grazie a un abile lavoro di montaggio e ai progressi della moderna tecnologia digitale…  

Ultima nota sul doppiaggio italiano: perché negli anni Duemila ci si ostina ancora a far parlare i francesi come l'ispettore Clouseau?!

Dati film

Titolo: Il Codice Da Vinci
Titolo originale: The Da Vinci Code
Regista: Ron Howard
Sceneggiatura: Akiva Goldsman (romanzo: Dan Brown)
Interpreti:
·         Tom Hanks (Robert Langdon)
·         Audrey Tautou (Sophie Neveu)
·         Ian McKellen (Sir. Leigh Teabing)
·         Jean Reno (Capitano Bezu Fache)
·         Paul Bettany (Silas)
Anno: 2006
Paese: USA
Colore: Colore
Durata: 149 minuti
Genere: Thriller/Avventura

venerdì 1 ottobre 2010

Non è un paese per vecchi

Titolo: Non è un paese per vecchi
Titolo originale: No Country for Old Men
Autore: Cormac McCarthy
Anno: 2005

Il libro…


Copertina dell'edizione italiana
(Einaudi 2006)
Texas, 1980. Il confine desertico tra Messico e Stati Uniti è sempre più spesso il luogo dove bande di narcotrafficanti regolano i loro conti. Ed è proprio tra la sabbia e le rocce che Llewelyn Moss, veterano del Vietnam con la passione per la caccia alle antilopi, s’imbatte in quel che resta di uno scontro a fuoco: tre pick-up crivellati di colpi, numerosi cadaveri e un messicano ferito gravemente, ma ancora in vita, che gli chiede dell’acqua. Un po’ più distante fra le rocce, l’oggetto che cambierà il corso alla sua esistenza: una valigetta, piena zeppa di banconote di grosso taglio. Indeciso tra timore, senso dell’onestà e necessità (è un operaio che vive con la moglie in una squallida roulotte), decide infine di appropriarsene.
Tutto sembra filare liscio, con i soldi al sicuro e la tranquillità di poter dare un bel cambio di rotta alla propria vita. Eppure qualcosa – in fondo – non va. Una volta a casa, nel cuore della notte, Moss si fa assalire dai sensi di colpa per non aver dato da bere al messicano morente. Il moderno cowboy è troppo leale per girarsi sull’altro fianco e ricominciare a dormire; torna, dunque, sui suoi passi, nel deserto, con una borraccia.
Si sa, i soldi sporchi, vinti o trovati, prima o poi portano guai, in particolare alle persone oneste e soprattutto se sono una bella somma. Il presentimento si rivela giusto perché ad aspettarlo nel deserto trova Anton Chigurh, killer implacabile e psicopatico, incaricato di recuperare il malloppo scomparso. Inizia così una serrata caccia all’uomo tra strade polverose, motel e città di confine; una caccia che lascia dietro di sé una lunga scia di sangue e cadaveri.
Chigurh appare come una macchina programmata per uccidere che non prova alcuna forma di pietà e che non conosce il senso della misura. Con la sua arma ad aria compressa (come quelle usata nei mattatoi) elimina in maniera implacabile tutto quello che gli si frappone, anche incidentalmente, sul suo cammino. Nell’inseguimento s’inserisce anche il vecchio e umano sceriffo Ed Tom Bell, intenzionato se non a fermare Chigurh, almeno a trovare Moss prima di lui.

Le amare riflessioni fatte in prima persona dallo sceriffo Bell diventano il filo conduttore del libro di McCarthy. Lo sceriffo, prossimo alla pensione, s’interroga sul futuro di un paese che ormai non riconosce più, pur avendoci abitato per tutta la vita. Gli sembra che qualcosa sia irrimediabilmente cambiato in peggio nell’animo degli uomini e che questa trasformazione si rifletta proprio sulle azioni criminose, sempre più frequenti, più brutali e inspiegabili. Se la vita umana già valeva poco, ora nemmeno il senso dell’onore e della dignità valgono più qualcosa.
Come dice a se stesso: “Certe volte mi sveglio in piena notte e mi sento sicuro come la morte che solo la seconda venuta di Cristo potrà fermare questo andazzo. Non so cosa serve stare sveglio a pensarci. Ma mi capita”.   


…dal libro al film…


Javier Bardem-Anton Chigurh
in una scena del film

Storia perfetta da smontare e rimontare seguendo logiche alternative, in perfetto stile Coen. Quello che ne esce è uno straordinario mix di elementi e rimandi che ci riportano alla tradizione dei film western (cow-boy, sceriffi e cattivi), a quella del thriller (omicidi, inseguimenti e suspense) e a quello dei gangster-movie (soldi che scottano, traffici illeciti). Ma i due fratelli non vogliono limitarsi alla morale della favola di un mondo impazzito che non ha più regole, popolato in maggioranza da esseri senza cuore e umani sentimenti e dove la giustizia non trionfa più. A loro interessa mettere in scena e far risaltare anche gli aspetti paradossali, ironici, parodici e apertamente comici di questo mondo e di chi lo abita.
E da dove cominciare se non dal supercattivo Anton Chigurh? Questo killer venuto da fuori (un grandissimo Javier Bardem) oltre a far paura per la ferocia, fa sorridere per via di quella pettinatura a caschetto che ne incornicia il faccione e da cui gli occhi bovini sembrano sporgere ancora di più. Guardandolo, così spietato, misurato nei gesti e indistruttibile che pare non lo si possa fermare, non si può che pensare a un cyborg alla Terminator, a un robot di qualche film di fantascienza.   
Perfetti nel ruolo anche Tommy Lee Jones (sceriffo Ed Tom) e Josh Brolin (Moss), che pur nella differenza d’età, incarnano entrambi gli ultimi esemplari di una razza di uomini in via d’estinzione.   
Con i Coen le cose non sono quasi mai al loro esatto posto. Per esempio saltano i meccanismi con cui un film thriller dovrebbe svolgersi. Gli omicidi, le esplosioni di violenza e i colpi di scena arrivano in momenti appositamente “sbagliati”, fuori tempo, in maniera improvvisa, quando lo spettatore non se li aspetta. Al contrario, quando chi guarda pensa che sia troppo presto o troppo tardi perché qualcosa di drammatico possa succedere, è proprio allora che accade.
Interessante anche l’operazione di adattamento. Se infatti la pellicola rispetta in pieno la trama e lo svolgimento della storia scritta da McCarthy, lo spirito che anima il romanzo non si ritrova nel film dei Coen. Il libro è imbevuto dal peso della tragedia imminente, di un destino ineluttabile di morte e di morti sempre più senza un senso logico. Il film invece preferisce mettere minuziosamente in scena questa violenza, talmente esagerata e folle che a volte sconfina nel grottesco, nello humor nero, suscitando – perché no? – addirittura qualche risata (nervosa) in noi che stiamo guardando. 


Dati film:

Titolo: Non è un paese per vecchi
Titolo originale: No Country for Old Men
Regista: Joel e Ethan Coen
Sceneggiatura: Joel e Ethan Coen, (romanzo: Cormac McCarthy)
Interpreti:
·         Tommy Lee Jones (sceriffo Ed Tom Bell)
·         Javier Bardem (Anton Chigurh)
·         Josh Brolin (Llewelyn Moss)
·         Woody Harrelson (Carson Wells)
·         Kelly MacDonald (Carla Jean Moss)
Anno: 2007
Paese: USA
Colore: colore
Durata: 122 minuti
Genere: ?
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