mercoledì 23 febbraio 2011

Trainspotting

Titolo: Trainspotting
Titolo originale: Trainspotting
Autore: Irvine Welsh
Anno: 1993

Il libro…

“La società s'inventa una logica assurda e complicata, per liquidare quelli che si comportano in un modo diverso dagli altri. Ma se, supponiamo, e io lo so benissimo come stanno le cose, so che morirò giovane, sono nel pieno possesso delle mie facoltà eccetera, eccetera, e decido di usarla lo stesso, l'eroina? Non me lo lasciano fare. Non mi lasciano perché lo vedono come un segno del loro fallimento, il fatto che tu scelga semplicemente di rifiutare quello che loro hanno da offrirti. Scegli noi. Scegli la vita. Scegli il mutuo da pagare, la lavatrice, la macchina; scegli di startene seduto su un divano a guardare i giochini alla televisione, a distruggerti il cervello e l'anima, a riempirti la pancia di porcherie che ti avvelenano. Scegli di marcire in un ospizio, cacandoti e pisciandoti sotto, cazzo, per la gioia di quegli stronzi egoisti e fottuti che hai messo al mondo. Scegli la vita. Beh, io invece scelgo di non sceglierla, la vita. E se quei coglioni non sanno come prenderla, una cosa del genere, beh, cazzo, il problema è loro, non mio”.


La locandina
Questa frase non apre il libro come, invece, accade per il film di Danny Boyle, dando forma a una delle più coinvolgenti e incalzanti scene iniziali della storia del cinema (ne riparleremo dopo). Questa frase arriva a metà del libro e ne diventa una sorta di bilancio, di riflessione a inframmezzare catastrofi e rinascite.
Trainspotting è la storia delle vite sgangherate di alcuni ragazzi dei dintorni di Edimburgo tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta. Mark Renton, Spud, Frank Begbie, Sick Boy e Tommy. Sono loro stessi a raccontare, in prima persona e ognuno con il proprio stile distintivo, le vicissitudini quotidiane di esistenze al limite: le droghe pesanti, la dipendenza da alcool, il fallimento nelle relazioni interpersonali, l’esclusione dal mondo del lavoro, la piccola criminalità, l’AIDS, la morte.
Tra i narratori spicca, per spazio concesso, Mark Renton, venticinquenne o giù di lì, figlio della classe lavoratrice povera scozzese, ex studente universitario e ora eroinomane che entra ed esce dalla dipendenza. È attraverso la narrazione di Renton che conosciamo gli altri suoi amici e il ricco sottobosco di illegalità, miseria economica e umana, noia e stordimento che caratterizza le vite dei membri del gruppo. Oltre a Mark c’è Spud, ladruncolo e tossico, di indole buona ma stupido, con il cervello ormai compromesso dalle troppe anfetamine prese. C’è Sick Boy, elegantone (si crede meglio di un altro scozzese, Sean Connery), maniaco del sesso e persona decisamente sfuggente e infida: non esita a sfruttare la sua capacità di far colpo sulle donne per trarre vantaggio. Come Mark anche Sick Boy oscilla fra eroina e disintossicazione. Poi c’è Frank Begbie, un violento e incontrollabile piscopatico alcoolizzato, un attaccabrighe che terrorizza gli altri avventori dei pub, che cerca la rissa ad oltranza, che tiranneggia i suoi amici e che maltratta senza ritegno la propria compagna. Infine, c’è Tommy, bravo ragazzo con la tendenza ad alzare un po’ il gomito; dopo esser stato mollato dalla tipa, però, sprofonda nella più nera depressione e da lì il passo verso l’eroina è fin troppo breve.
Intorno ad essi ruotano altre figure: piccoli spacciatori, poveri tossici, avanzi di galera, ragazze madri senza punti di riferimento, assistenti sociali che tentano di capire e redimere, giovani rassegnati, malati allo stadio terminale e genitori imbottiti nel corpo e nella mente da cibi troppo ricchi di colesterolo e da insulsi programmi televisivi.
La loro vita è fatta di giornate passate al pub a bere pinte di birra cattiva (“piscia”) e a scolarsi bottiglie di liquori, di serate umide e fredde, di risse che finiscono a bicchierate in faccia, di partite di calcio viste alla tv, di relazioni instabili e per lo più segnate da violenze e da tradimenti. Chi poi ha a che fare con l’eroina può aggiungere la snervante attesa fra un buco e l’altro, i dolori che procura l’astinenza, la ricerca di soldi per la dose, il totale disinteresse per tutto ciò che non abbia a che fare con un cucchiaino, un accendino, una siringa e un po’ di polvere da sciogliere.

Il quadro che ne esce è – come si può facilmente immaginare – piuttosto tragico e desolante specie quando Welsh indugia sui particolari dei sintomi dovuti alla “rota” (la crisi di astinenza), quando descrive il totale abbruttimento a cui arrivano i tossici (per esempio il loro essere completamente privi di un minimo senso dell’igiene) e quando mostra con crudezza quali possono essere le conseguenze di quegli atti, ovvero malattie e morte. D’altronde questi ultimi due elementi sono presenti – a volte in primo piano a volte solamente sullo sfondo – in tutte le storie raccontate.
Tuttavia, Trainspotting non è un libro didascalico e nemmeno una storiella moraleggiante sulla pericolosità delle droghe e dell’abuso di alcool. Ecco perché al di là delle brutture, l'atmosfera del romanzo non è poi così cupa e triste. Sono diversi i momenti frizzanti, divertenti e leggeri. Anche nella discesa agli inferi c’è spazio per la vitalità, per dei sentimenti umani (l’amicizia), per la simpatia. Come quella che, spesso, si prova per Mark, Spud o Sick Boy. Nel contempo, non è così raro ritrovarsi a provare attaccamento alle loro esistenze sconclusionate e a cercare una giustificazione al loro improbabile modo di vivere. Nella foga della lettura, non è così raro che si arrivi a pensare – anche solo per qualche secondo – che, forse, un po' di ragione quei disadattati ce l'hanno…

Esordio folgorante per Irvine Welsh. Si tratta di un grande libro, innovativo nella forma, nei contenuti e anche nel linguaggio (davvero incredibile per crudezza e volgarità).

…dal libro al film…

La probabilità di fallire e di trarne un filmaccio banale o esagerato era altissima. Invece, si è di fronte a un film dove tutto funziona: bella storia, regia geniale, bravi attori, colonna sonora azzeccatissima, battute che ti rimangono appiccicate in testa e scene cult. Un amalgama che non riesce così spesso.
Mark "Rents" Renton - Ewan McGregor
Gran merito va alle intuizioni e alla capacità di metterle su pellicola di Danny Boyle. Visionario e ispirato, riesce a trasformare alcune descrizioni per stomaci forti presenti nel libro di Welsh in veri e propri colpi di genio impossibili da dimenticare: dall’immersione di Mark nella tazza del water, alla sua scomparsa dentro il tappeto rosso durante il “viaggio” dopo l’overdose, fino agli incubi spaventosi che si susseguono quando il protagonista cerca di superare la crisi di astinenza.
Il successo è sicuramente aiutato dalle performance di un gruppo di interpreti in forma strepitosa. Innanzitutto Ewan McGregor, perfetto e credibile travestito da tossico. In secondo luogo Robert Carlyle. Il futuro disoccupato-spogliarellista in Full Monty entra talmente bene nei panni dello psicotico e iracondo Frank Begbie che il suo personaggio risulta davvero antipatico e insopportabile (si spera sempre che incontri qualcuno in grado di fargliela pagare!). O Ewen Bremner nella parte dello sfigatissimo e stordito Spud.
Coinvolgente la scelta delle musiche. Ci sono Iggy Pop (citato a più riprese nel romanzo), Lou Reed, Pulp, Blur, Brian Eno… che cosa si può aggiungere?

Tornando, invece, alla già citata scena iniziale, invito a guardare i due filmati qua di seguito riprodotti. Il primo è l’inizio trascinante di Trainspotting (con la musica martellante di Lust for Life). Il secondo è l’intro di Piccoli omicidi fra amici (1994), interessantissimo film d’esordio dello stesso Boyle. Trovate analogie fra i due?
CHARLIE CITRINE

Dati film:

Titolo: Trainspotting
Titolo originale: Trainspotting
Regista: Danny Boyle
Sceneggiatura: John Hodge (romanzo: Irvine Welsh)
Interpreti:
·         Ewan McGregor (Mark Renton)
·         Ewen Bremner (Spud)
·         Robert Carlyle (Begbie)
·         Jonny Lee Miller (Sick Boy)
Anno: 1996
Paese: Gran Bretagna
Colore: Colore
Durata: 94 minuti
Genere: Drammatico
Internet Movie Data base

mercoledì 16 febbraio 2011

Gomorra

Titolo: Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra
Autore: Roberto Saviano
Anno: 2006

Il Libro

Ha venduto oltre 2 milioni e 250 mila copie solo in Italia e ben 10 milioni nel mondo, tradotto in 52 paesi, il New York Times lo ha inserito tra i dieci libri più importanti del 2007. Roberto Saviano ha ricevuto 10 premi nazionali nel solo biennio 2006-2007, tra cui il Viareggio – Opera Prima.

Questo successo planetario ha portato con sè purtroppo anche polemiche e minacce dirette all’autore costretto da allora a vivere sotto scorta, vista quanto è viva e dolente la piaga che  ha toccato con Gomorra. Alcuni politici e giornalisti hanno, inoltre, discreditato il suo lavoro, per il quale rischia la vita.
Come dopo l’assassinio dei giudici Falcone e Borsellino la percezione e la conoscenza della mafia sono cambiate per tutti e per sempre, la stessa cosa è accaduta grazie a quest' opera di Saviano sul cosiddetto “Sistema” della Camorra. La protezione di Stato si è resa necessaria: in qualche modo Gomorra ha fatto più male alla Camorra di tutti i 30 super-latitanti arrestati recentemente.
Non si può proprio parlare di fiction questa volta, ma piuttosto di una  scrittura lucida  e aderente alla realtà delle cose, con un uso combattivo della parola, quella di chi non ci sta e vuole battersi contro un sistema criminale.
Ma al pari di tutte le grandi opere narrative, Gomorra non si può liquidare con la stessa freddezza che si riserverebbe a un saggio scientifico. Certo la sua è un’analisi ben documentata, ma ciò non basta a spiegarne il successo.
Proprio come nei grandi romanzi, la parola è viva e reale perchè a darle forza sono gli occhi dell’autore, un ragazzo napoletano (Saviano è del 1979 e nel 2006 aveva 27 anni) che decide di scrivere mosso dal dolore di vedere la sua terra devastata dalla camorra che comanda tutto.
Vuole essere testimone e come un nuovo Pasolini cerca una parola che possa aggredire la realtà:

“Ci ho riflettuto a lungo e mi sono convinto che la parola letteraria proprio perché svincolata da obiettivi, da sentenze di tribunale, può mostrare le budella del potere, può raggiungere un nucleo di significato molto semplice, che è poi quello dei tragici greci: verità e potere non coincidono mai”

Con queste motivazioni ci racconta i morti, le faide, le tangenti, la corruzione dei politici di turno, la contraffazione, lo spaccio internazionale di cocaina, di armi, lo smaltimento di rifiuti tossici dalle industrie del Settentrione, il riciclaggio di denaro sporco nell’ edilizia in Italia, in Spagna e nel mercato finanziario. Tutto questo rende la Camorra l’unico sistema socio-economico imperante della Campania, che decide non solo della vita e della morte delle persone, ma anche del modo in cui esse devono vivere. Se ci si ribella si paga con la vita, se invece ci si piega il "Sistema" provvederà per ciascuno finché gli sarà utile.
Lo scandalo di Gomorra è che tutto ciò - nonostante sia drammaticamente contemporaneo (basta aprire i giornali di oggi) - continui a sembrarci impossibile e lontano quando, invece, ha ormai assunto una dimensione nazionale e sovranazionale, perdendo ogni carattere regionale e contadino. Una voce fondamentale dell’intero Pil nazionale che può mettere le mani su appalti importanti in ogni città d’Italia.

…dal libro al film…

Il film funziona sotto tutti i punti di vista.
Funziona innanzitutto perché non copia le orme di un libro di così ampia notorietà ma ne affronta il tema proprio spostando il punto di vista e prendendo quello opposto, quello di chi nel "Sistema" è dentro e ci vive per scelta o per obbligo. Rimane, tuttavia, la voglia del regista di non staccare la cinepresa dalla realtà, fin dove essa può arrivare (una cosa che ricorda la stessa ostinazione di Saviano).

La locandina del film
Lo scandalo criminale è narrato in una lingua poco comprensibile ai più, i dialoghi sono infatti in napoletano stretto e le colonne sonore provengono dal mondo parallelo dei cantanti neomelodici partenopei. I sottotitoli potrebbero essere necessari ma è meglio non utilizzarli. Non ne viene intaccata la comprensione e grazie alla potenza delle immagini aumenta lo sgomento di vedere un film che sembra girato in terra straniera e che, invece, è il ritratto di un’ Italia dei giorni nostri, di quella parte ignorante, povera , abbandonata a sé stessa e violenta che con il "Sistema" trova uno sbocco internazionale.
Le storie dei ragazzini dai visi caratteristici raccontano non solo dei soldi come motore per qualsiasi violenza, ma della Camorra come unica scelta di vita possibile, la sola a dare una vera e propria formazione pedagogica; in assenza di alternative possibili (qui nelle immagini si capisce cosa significa la troppo utilizzata frase “mancanza dello Stato”) ognuno può acquisire un posto nella società, un lavoro, la fiducia in sé stesso e diventare un uomo.
Allora, può iniziare una spirale perversa in cui già da bambini si è convinti che l'unico modo di morire come un uomo vero sia quello di morire ammazzati, oppure finire latitanti o in carcere.
Magnifica la fotografia del film, forse la cifra più talentuosa del regista Matteo Garrone che alterna due momenti fondamentali. Da un lato ci rimanda senza manierismo alla tradizione del neorealismo italiano arricchito dai colori di una terra  ancora bellissima e dalla gioia dei mostruosi labirintici neo-caseggiati di ringhiera con i panni stesi  e da dove si cala di tutto con le tradizionali corde, non solo il paniere ma anche divani e statue di santi. Dall’ altro tenta di farci vedere le “zone d’ombra”, quelle dove è difficile capire cosa stia davvero succedendo fino in fondo all’inquadratura, quelle che nascondono un barlume di verità da indagare.

Il film Gomorra ha vinto al Festival di Cannes 2008 il Premio della Critica, agli European Film Award 2008 i Premi come miglior film, miglior regia, migliore fotografia, migliore sceneggiatura, è stato invece escluso ( a torto! Voi cosa ne pensate? ) negli Stati Uniti dalle nomination agli Oscar 2009 come miglior film straniero.
WAYNE

Dati film:
Titolo: Gomorra
Regista: Matteo Garrone
Sceneggiatura: Matteo Braucci, Matteo Garrone et al. (romanzo: Roberto Saviano)
Interpreti:
· Toni Servillo (Franco)
· Salvatore Abruzzese (Totò)
· Ciro Petrone (Ciro)
Anno: 2008
Paese: Italia
Colore: colore
Durata: 137 minuti
Genere: drammatico

Internet Movie Data base

martedì 8 febbraio 2011

Le piace Brahms?

Titolo: Le piace Brahms?
Titolo originale: Aimez-vous Brahms?
Autore: Françoise Sagan
Anno: 1959

Il libro…

Fino a qualche decennio fa, una donna di 39anni senza un marito era considerata una zitella. Se poi viveva sola e aveva un “amico” (e non un fidanzato ufficiale) addirittura era vista come una poco di buono. Così almeno accadeva in gran parte del mondo, ma non nella frizzante, anticonformista ed emancipata Parigi degli anni Cinquanta-Sessanta dove Paule era considerata quella che oggi si definirebbe “una single”.
Donna indipendente, arredatrice in carriera, senza figli, Paule frequenta da diversi anni Roger, imprenditore nel settore dell’autotrasporto e vero maschio sicuro di sé. Il rapporto procede sui binari del disimpegno: serate a teatro, al cinema, cene in ristoranti alla moda e divertimenti al night (all’epoca si chiamavano così i locali…). Si tratta di una relazione dal fiato corto, che non lascia presagire alcuna trasformazione in qualcosa di più solido e duraturo. Anzi, Roger è uno di quegli uomini molto sensibili al fascino femminile. Uno di quelli che non disdegna, ogni tanto, qualche variazione al tema, con scappatelle con ragazze più giovani. E a Paule comincia a pesare la situazione, con quel corollario di bugie e prese in giro che ogni tradimento si porta dietro. Non sappiamo se percepisca il ticchettio dell’invisibile orologio biologico o se sogni un matrimonio in pompa magna, sicuramente però non è felice di questa sua condizione di continua instabilità emotiva.
In questo quadro, s’inserisce il terzo elemento, Simon. È un ragazzo di 25anni, figlio di una ricca americana a cui Paule deve arredare casa. Simon è stralunato, sensibile, scarsamente interessato al lavoro e alla carriera, molto sognatore e un po’ ossessivo. Aggiungiamo che prova una particolare attrazione per le donne mature e Paule, ancora bella, diviene l’oggetto della sua passione. Inutile negare che lei si senta lusingata dalle attenzioni del giovane. Tutto sembra facile ma la felicità non sembra trovarsi nemmeno lì, nelle complicazioni geometriche del triangolo amoroso…

Per sminuirne il talento, si parlava della Sagan come della rappresentante di un esistenzialismo “all’acqua di rose”. In realtà, la scrittrice parigina – anticonformista, di successo e dalla vita spericolata – sapeva come raccontare le storie, come ricreare le emozioni. In questo caso, siamo di fronte al senso di infinita insoddisfazione e tristezza che regna nella vita di Paule, al vuoto che le lasciano queste relazioni interrotte, frammentate, mai definitive o destinate all’infelicità sin dall’inizio. 
Avanti anni luce rispetto ai tempi, la Sagan racconta di relazioni amorose molto moderne, fra persone libere e indipendenti, dove il contesto sociale e famigliare non interferisce per nulla nelle dinamiche di coppia (da questo punto di vista molto poco italico, specie dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, così familista e dove i problemi si discutevano e risolvevano a tavola, insieme a nonni, zii e cugini).   

Infine, la Sagan solletica la mia passione per i bei titoli (quelli che ti rimangono in testa perché incisivi e attraenti). Bravissima a sceglierli per le sue opere. Ne cito altri tre oltre all’azzeccatissimo Le piace Brahms? (Aimez-vous Brahms?), ovvero: Un po’ di sole nell’acqua gelida (Un peu de soleil dans l’eau froide), Un certo sorriso (Un certain sourire) e l’insuperabile Buongiorno tristezza (Bonjour tristesse) .
Da riscoprire.

…dal libro al film…

Preso in mano da produttori hollywoodiani senza grazia e incapaci di valorizzarne le sfumature, il romanzo si trasforma in una pellicola piuttosto scialba, molto sentimentale e a tratti di una superficialità disarmante. Oltre che di una lunghezza eccessiva.
Locandina edizione americana
Il regista Anatole Litvak non sa cogliere le sfumature e appiattisce tutto l’appiattibile. La dolorosa tristezza che aleggia intorno a Paule, insoddisfatta e infelice per la propria condizione di donna che capisce di aver ormai perduto gli anni migliori della propria esistenza, è banalizzata in un racconto fintamente scandalistico su un rapporto tra una donna più vecchia e un ragazzo più giovane (un’anticipazione del toy boy tanto di moda in questi anni, vedi Demi Moore o Madonna?).

Il tutto si regge in piedi solamente grazie alla presenza e alle capacità degli attori di stare in scena.  Innanzitutto, quella di Yves Montand, degno rappresentante del maschio adulto e seduttore dal sorriso accattivante. Ugualmente lo “psicopatico” Anthony Perkins, qui nei panni di Philip (il Simon del libro), giovane stralunato, un po’ inquietante e amante ossessivo con una passione (edipica) per le donne più grandi di lui. Infine, Ingrid Bergman, giusta per età, ma forse troppo rigida e controllata rispetto all’immagine che mi sono costruito pensando alla Paule del romanzo. Se il film fosse stato girato alla fine degli anni Sessanta e non all’inizio, io avrei visto bene l’impiego di un’attrice all’epoca molto in voga come Anouk Aimée (quella di Un homme, une femme di Claude Lelouche, per intenderci)…

Charlie Citrine
Dati film

Titolo: Le piace Brahms?
Titolo originale: Goodbye Again
Regista: Anatole Litvak
Sceneggiatura: Samuel A. Taylor (romanzo: Françoise Sagan)
Interpreti:
·         Ingrid Bergman (Paule Tessier)
·         Yves Montand (Roger Demarest)
·         Anthony Perkins (Philip Van der Besh)
·         Jessie Royce Landis (Mrs. Van der Besh)
Anno: 1961
Paese: USA/Francia
Colore: B/N
Durata: 120 minuti
Genere: Drammatico
Internet Movie Data base

mercoledì 2 febbraio 2011

La versione di Barney

Titolo: La versione di Barney
Titolo originale: Barney’s Version
Autore: Mordecai Richler
Anno: 1997


Il libro…

Copertina dell'edizione
americana
Barney Panofsky già sessantenne, a capo della sua casa di produzione – la Totally Unnecessary Productions – di serial televisivi di terza categoria, si trova costretto a scrivere un’autobiografia difensiva, in parte smemorata, per rispondere all’accusa di omicidio mossagli dal pamphlet di Terry McIver Il tempo e le Febbri. Dà così la sua versione dei fatti accaduti prima e dopo la morte dell’amico fraterno “Boogie”, artistoide ed eroinomane, avvenuta nella sua casa di campagna fuori Montreal. Barney è già stato assolto dalla giustizia in quanto il corpo non è mai stato trovato e non ci sono mai state prove evidenti, ma sia McIver che il sergente O’Hearne – che ha condotto le indagini più lunghe della sua vita – non hanno mai creduto alla sua innocenza.
Su questa ossatura si sviluppa il racconto con numerosi episodi che reggono a sé stanti sul filo conduttore della vita dissoluta di Barney Panofsky, divisa in tre parti, ciascuna  per le tre  mogli che ha avuto, ma con molti spostamenti sul piano temporale.
La prima moglie è la pittrice di futura fama Clara Charnofsky, che Barney giovane conosce nel periodo bohemien di Parigi, in cui frequenta un gruppo di artisti spiantati, tra cui Boogie.
Barney accetterà sempre che gli artisti a cui si lega possano tradirne la fiducia come ha fatto Clara, perché non si sente un artista come loro, al massimo può essere quello che presta i soldi o l’editore delle future opere mai terminate di Boogie.
Pur essendo un personaggio molto colto, innamorato dell’arte, è inconsapevole di valere. La sua “Versione”, però, è ricca di citazioni tra le righe, è un vero e proprio capolavoro. Quello che il lettore sta leggendo smentisce il complesso di inferiorità che egli vive per tutta la vita.
Già qui alcuni lettori amano Barney per la sua tragicità, perché vorrebbero comunicargli quanto in realtà  vale il suo modo di essere autentico.
Un tradimento mette fine anche al suo secondo matrimonio. Si vuole al più presto liberare della logorroica neo-Seconda Signora Panofsky, una ricca ereditiera dalle buone maniere ma vuota nella sostanza, sposata senza troppa convinzione, probabilmente solo per il vano tentativo di trasformarsi da ribelle anticonformista in “un ebreo per bene”. Scopre prestissimo che è l’ultima cosa che potrebbe diventare e fin dal primo giorno di nozze cerca un pretesto legale per il divorzio. Già al banchetto (mai momento fu meno appropriato) si innamora all’istante della sua futura terza moglie, Miriam.
Quest’ultima è l’amore della sua vita e la madre dei suoi tre figli, Michael, Samuel e la prediletta Kate, l’unica che gli starà vicino quando acciaccato e abbandonato rimpiangerà di non aver saputo tenere vicino a sé Miriam, quando a un primo accenno di crisi tardo-matrimoniale si è lasciato andare ad una scappatella dovuta tutt’ al più al suo alcolismo irrefrenabile. 

Questo bestseller da 300.000 copie vendute in Italia per alcuni lettori è una sorta di guida filosofica e metro di paragone per l’esistenza, per altri un compendio dissacratore all’insegna dell’umorismo yddish, in cui solo il padre Izzy Panofsky supera il figlio, pur restando anche un giallo esistenziale in cui il lettore è il primo ad amare, odiare e giudicare, come in un vero tribunale (voi da che parte state, colpevolisti o innocentisti?) un uomo complesso, pieno di vizi e difetti come Barney.
Si è perennemente spinti a dubitare di Barney fino alla fine (non è da tutti scrivere libri che  svelino il mistero letteralmente all’ultima riga e, anche qui, onore a M. Richler) , vuoi per le accuse mossegli, vuoi perché è cinico e fa cose deprecabili, vuoi per l’Alzheimer che lo rende inaffidabile, vuoi per il figlio Michael che riordinando la “Versione” prima che il lettore la legga, la riempie con puntigliose note a piè di pagina che fanno da contrappunto alla confusione di Barney e suscitano un ennesimo elemento di sospetto contro di lui, quello di un figlio proprio mentre sta redigendo le memorie difensive del padre.

…dal libro al film…

Stando così le cose, non era certo facile fare un film che si deve inevitabilmente confrontare con un colosso di successo narrativo contemporaneo, a differenza dei classici di tempi andati. Per questo viene affrontato con quel timore reverenziale che mantiene la storia pressoché inalterata prosciugandola dai troppi episodi indipendenti che costellano il libro .
Paul Giamatti e Dustin Hoffman in una scena del film
In sala, tra il pubblico, spesso le persone si domandano chi ha già letto il libro. Questione non retorica perché sottende una certa paura di aver buttato via i soldi del biglietto (a proposito, è capitato anche a voi?).
Invece, proprio chi ha già letto la “Versione” si deve ricredere durante la visione del film.
La pellicola è riuscita perché trova una sua dimensione autonoma non tanto quando il regista Richard J. Lewis sceglie di discostarsi dalla trama con il dubbio spostamento degli avvenimenti dalla Parigi postbellica e intellettuale alla Roma della dolce Vita che poco c’entra,  ma quando  punta ad elementi di forza emotiva che solo la recitazione può trasmettere.
Allora, anche chi ha già letto e osannato il libro sta attaccato allo schermo grazie alla forza interpretativa dell’antidivo Paul Giamatti nei panni di Barney – e qui sfodera un’occasione forse da Oscar (…si accettano scommesse) e alla certezza di un Dustin Hoffman nelle vesti del padre ex poliziotto, Izzy Panofsky.
Oltre a mantenere un umorismo yiddish, comunque molto più addolcito, nel film appaiono elementi come la debolezza di un uomo di fronte all’amore o alla malattia che rende dementi (Giamatti è bravissimo anche a fare il malato di Alzheimer) che nel libro non raggiungono questi livelli di profondità. Barney qui è un uomo che pur con tutto il suo cinismo ci fa commuovere (alcuni fino alle lacrime), lo sentiamo vicino ancora una volta ed in modo diverso dal libro proprio quando  tradisce Miriam e capisce di aver tradito sé stesso,  l’autenticità del suo amore.
WAYNE

Dati film:
Titolo: La versione di Barney
Titolo originale: Barney’s Version
Regista: Richard J. Lewis
Sceneggiatura: Michael Konyves (romanzo: Mordecai Richler)
Interpreti:
·         Paul Giamatti (Barney Panofsky)
·         Dustin Hoffmann (Izzy Panofsky)
·         Scott Speedman (Boogie)
·         Rosamund Pike (Miriam)
·         Rachelle Lefevre (Clara)
Anno: 2010
Paese: Italia, Canada
Colore: colore
Durata: 132 minuti
Genere: drammatico
Internet Movie Data base

martedì 1 febbraio 2011

...e la famiglia si allarga...

La famiglia di Ho visto un libro... si allarga per far spazio al "fratello" Wayne. Forze fresche e un nuovo punto di vista per continuare a discutere di libri che sono divenuti film. 
Iniziamo da domani con un bel balzo nell'attualità più stringente e con la nostra versione di una "Versione" oggi piuttosto di moda...

Charlie Citrine & Wayne