sabato 26 marzo 2011

Dalia Nera - Black Dahlia

Titolo: Dalia Nera
Titolo originale: Black Dahlia
Autore: James Ellroy
Anno: 1987

Il libro…

Edizione americana
Nel gennaio del 1947, in un lotto di terreno non ancora edificato della città di Los Angeles, venne trovata una giovane donna priva di vita; il suo corpo era letteralmente tagliato in due e orrendamente mutilato.
La vittima si chiamava Elizabeth Short, una poco più che ventenne giunta in California in cerca di fortuna dopo aver lasciato una piccola cittadina industriale nei dintorni di Boston. Dalle informazioni che poliziotti e giornalisti avevano raccolto sul suo conto emergeva il ritratto di una ragazza piuttosto disinibita che non esitava a passare da un uomo all’altro, specie se stretto in una divisa da soldato decorata da qualche medaglia o se legato in qualche modo al luccicante mondo del cinema.
L’efferatezza con cui era stato commesso il crimine e il contorno pruriginoso ed equivoco che circondava la povera vittima avevano suscitato l’interesse morboso dei media, del loro pubblico e, quindi di riflesso, del distretto di polizia. Davanti a una storia così succulenta piena di ninfomania, perversione, disinibizione e sangue i giornali popolari ci andarono a nozze. Quando poi scoprirono che Elizabeth aveva l’abitudine di vestirsi di nero, passando da un locale all’altro sul Sunset Strip,  il personaggio da prima pagina era bello che pronto. La creazione del nomignolo Dalia Nera non era che la variazione del titolo di una pellicola di successo dell’epoca, Blue Dahlia. 
Nel pool di investigatori preposti a scoprire chi aveva compiuto quello scempio c’era anche Dwight "Bucky" Bleichert, ex pugile con alle spalle un’onorevole carriera come peso medio, solitario, pessimista e disilluso da tutto, nonostante non avesse da molto superato i 30 anni di età. Da semplice agente in divisa era passato alla prestigiosa Squadra Omicidi grazie soprattutto alla buona parola di Lee Blanchard, anch’egli ex pugile, generoso ma molto irruente poliziotto in piena ascesa carrieristica. Lee era legato sentimentalmente all’intrigante Kay Lake, una donna che Bucky aveva imparato a conoscere durante le assidue frequentazioni alla casa del “socio” di lavoro.
Per i due poliziotti però, non era tempo di un’esistenza serena e libera dalle preoccupazioni: le indagini sulla morte della Dalia diventavano un’ossessione, assorbendo ogni loro energia sia fisica che nervosa. Più si procedeva, più le cose si complicavano, più ci si imbatteva in persone corrotte e più risultava complicato tornare indietro, quando il nome Elizabeth Short non significava nulla.

Partendo da un reale e famosissimo caso di omicidio ancora irrisolto, James Ellroy costruisce un romanzo formidabile che si presta a più livelli di lettura. Innanzitutto, ripaga le attese di coloro che amano il genere giallo-noir. Siamo, infatti, di fronte a una storia di ottima fattura, con una trama investigativa complessa e coinvolgente, ricca di colpi di scena, di momenti di tensione e di un po’ di sangue.
Ugualmente, Ellroy è in grado di venire incontro ai gusti di coloro che, oltre a una storia avvincente e alla descrizione dei processi investigativi – spesso meccanici e ripetitivi – vogliono avere qualcosa in più. Lo scrittore losangelino li accontenta inventando personaggi interessanti, con un loro spessore e per questo lontani dai ridicoli cliché che infestano molti romanzi gialli. Lee, Kay, Madeleine e sopratutto Bucky mostrano di avere sentimenti, passioni e ossessioni – una loro “vera” vita – che vanno al di là del ruolo che le indagini gli hanno assegnato.
Personaggi così credibili devono muoversi, per forza in un ambiente altrettanto ricco di suggestioni, come lo era la Los Angeles della seconda metà degli anni Quaranta, quando la famosissima scritta sulle colline era ancora “Hollywoodland” (le ultime quattro lettere saranno rimosse solamente due anni più tardi, nel 1949). Una città disordinata e già incredibilmente estesa pur essendo ancora giovane. A quell’epoca, in certe sue zone di periferia l’asfalto e le case terminavano bruscamente, lasciando spazio al nulla di campi ancora incolti. Una città incosciente e molto amorale popolata da ragazze di provincia pronte a ogni bassezza pur di una particina in un film e con il sottobosco di finti pezzi grossi del cinema rapidi ad approfittarne. Una città dove si poteva crescere in fretta, piena di politicanti ambiziosi, di costruttori dal passato oscuro bravi nel fare soldi a palate fabbricando sulle colline circostanti, di poliziotti corrotti e violenti e di miserabili delinquenti senza scrupoli. Una città di confine con l’altra America, quella latina e di lingua spagnola.

…dal libro al film…

Non nascondo che per un amante – quale sono – del cinema di Brian De Palma è davvero difficile ammettere che la trasposizione su grande schermo di Black Dahlia non rientri tra le pellicole più emozionanti degli ultimi anni...
Brian De Palma
E mai come in questo caso si potrebbe usare a proposito l’espressione “riduzione cinematografica”. Una “riduzione”, purtroppo, da intendersi nella sua accezione (negativa) di mancanza di una parte con relativo impoverimento del tutto. Quindi “riduzione” della trama di un romanzo difficilmente riassumibile in maniera comprensibile in 2 ore di pellicola. Riduzione della ricchezza psicologica dei protagonisti della vicenda, qui appena abbozzati. Riduzione delle emozioni che la storia suscita durante la lettura: scompaiono quasi completamente la disperazione, il fatalismo, la spinta all’autodistruzione e i pensieri ossessivi che guidano le esistenze dei vari personaggi dopo la morte della Dalia. Non penso di sbagliarmi se affermo che chi non ha letto il libro faccia un’enorme fatica a entrare nella storia.
Tuttavia, la pellicola è da guardare. Ciò che la salva è proprio la bravura formale di De Palma, la sua straordinaria abilità nel saper usare la macchina da presa, nel suo modo maniacale di curare i dettagli (aiutato dalle scenografie perfette di Dante Ferretti), di ricreare situazioni e di dirigere gli attori. Con la sua classe e il suo senso estetico sviluppatissimo copre e supplisce alle magagne di una narrazione troppo semplificata.
Sensualissima Hilary Swank nei panni della Dark Lady Madeleine, bravo Josh Harnet in quelli del poliziotto pessimista Bucky Bleichert mentre fuori parte Scarlett Johanson, qui bambolotta bionda un po’ lagnosa nel ruolo di Kay (che nel libro, invece, appariva come una donna che sapeva il fatto suo…).  

CHARLIE CITRINE

Dati film:

Titolo: The Black Dahlia – Dalia Nera
Titolo originale: The Black Dahlia
Regista: Brian De Palma
Sceneggiatura: Josh Friedman (romanzo: James Ellroy)
Interpreti:
·         Josh Hartnett (Dwight “Bucky” Bleichert)
·         Scarlett Johansson (Kay Lake)
·         Hilary Swank (Madeleine Linscott)
·         Aaron Eckhart (Lee Blanchard)
Anno: 2006
Paese: Stati Uniti, Germania, Francia
Colore: colore
Durata: 121 minuti
Genere: noir/drammatico
Internet Movie Data base

sabato 19 marzo 2011

The Road

Titolo: La strada
Titolo originale: The Road
Autore: Cormac McCarthy
Anno: 2006

Il libro…

Edizione americana
Dal mio punto di vista, gli avvenimenti tragici che hanno colpito il Giappone (terremoto, conseguente tsunami e pericolo radiattivo) sono coincisi con la lettura di un libro “post-apocalittico” come The Road, di quel maestro di scrittura che è Cormac McCarthy.
Ciclicamente l’Apocalisse (con la “a” maiuscola o minuscola, scegliete voi) torna ad interessare gli esseri umani, ad essere al centro di riflessioni filosofico-religiose, a diventare oggetto delle trame di libri o di film e soggetto di opere d’arte. E il pensiero dell’Apocalisse porta con sé quello del post, del “cosa ci aspetta dopo” e di cosa rimarrà passata la catastrofe.
Spesso la colpa degli sconvolgimenti apocalittici è stata attribuita all’uomo, alla sua malvagità, alla sua sete di potere, al suo folle desiderio di manipolare la Natura e alle storture di uno sviluppo incontrollato e di un iper-tecnologismo senza freni (dal Diluvio Universale passando per le guerre atomiche fino agli esperimenti scientifici più rischiosi che innescano reazioni a catena). A volte è stata data alla Natura stessa, che da benevola si trasforma in “matrigna”, pronta a sterminare ogni forma di vita presente sulla faccia della Terra (con la diffusione di pandemie letali, con eruzioni vulcaniche spaventose, con terremoti e maremoti devastanti e meteoriti che centrano in pieno il nostro Pianeta). Infine capita che la minaccia venga da fuori, con l’invasione di altre forme di vita particolarmente aggressive (civiltà aliene distruttrici)...

Ma veniamo a questo romanzo. In un pianeta Terra privo di qualsiasi forma di vita naturale o animale, un padre e un figlio si trascinano lungo le strade ricoperte di cenere. Il loro obiettivo è arrivare sulla costa dove sperano di trovare condizioni di vita migliori e magari un’embrionale forma di società civile composta da persone che – come loro – desiderino tornare a vivere insieme in armonia. Il mondo come lo conosciamo noi oggi è finito alcuni anni prima, in seguito a un evento traumatico non del tutto svelato nella trama. Da quel giorno fatidico tutto è morto: niente più animali, niente più pesci o uccelli, niente più alberi, prati, fiori o campi coltivati. Solamente freddo, pioggia, incendi e un sole troppo debole per riuscire a scaldare quello che rimane sulla crosta terrestre e per poter perforare con i suoi raggi la spessa e grigia cortina di fumo che avvolge l’atmosfera. Le città sono deserte, con case, palazzi, centri commerciali abbandonati, saccheggiati, devastati dal fuoco o dalla mano di chi è arrivato dopo. In molti punti sono presenti cadaveri carbonizzati.  
Padre e figlio arrancano spingendo – molto post-modernamente – un carrello del supermercato riempito con poche e miserabili cose quali coperte sudicie, scarpe sformate, un telo di plastica come riparo dalle intemperie e le scarsissime provviste che sono riusciti a trovare lungo il cammino. Come due derelitti senzatetto viaggiano sporchi e inzuppati fino al midollo di acqua piovana e fango, soffrono la fame e dormono sul terreno duro e gelato con l’unico confort del piccolo fuocherello che riescono ad accendere prima di sdraiarsi. La strada che li porterà in riva all’oceano è lunga, faticosa e piena di insidie. Il rischio viene dai pochi sopravvissuti riuniti in bande pronti a rapinare e a uccidere i viandanti che si avventurano per le strade deserte. La catastrofe ha sovvertito e spazzato via anche le più elementari leggi morali e ora l’unica ancora in vigore è quella di sopravvivenza: violenze, omicidi e cannibalismo sono all’ordine del giorno.
Padre e figlio – di cui non sapremo mai i nomi –si difendono con una pistola nel cui tamburo sono rimasti solamente due proiettili e con l’intelligenza di chi sa stare all’erta perché conosce i pericoli. Si fanno coraggio a vicenda e in quel mare di desolazione e disperazione cercano di rimanere il più possibili “umani”. La loro voglia di sopravvivere non può diventare ragione per sopraffare il prossimo. Lo sa il padre ma ne è convinto soprattutto il bambino che non perde occasione per chiedere al genitore conferma di due cose: se loro “sono ancora i buoni” e se è vero che “portano il fuoco” nel cuore.
In un ambiente ostile, dove i giorni lividi e le notti buie si susseguono tutti spaventosamente uguali, padre e figlio non perdono la speranza. Non che coltivino particolari illusioni su quello che troveranno lungo la costa, ma qualcosa – un barlume anche fioco – li spinge a continuare a camminare anche quando le gambe si piegano per la fatica e la fame, a resistere quando non serve nemmeno fasciarsi i piedi con borse di plastica e quando, al minimo rumore, bisogna nascondersi come animali impauriti. Il reciproco amore è ciò che dà loro il coraggio di spingere, metro dopo metro, il carrello pieno di stracci.

Romanzo stupendo, angosciante, intenso. Coinvolge talmente tanto che è difficile richiuderlo una volta che lo si è iniziato a leggere. Con il suo stile asciutto ma penetrante con zero retorica e molta profondità rapisce e ci porta nel cuore delle cose narrate.
Tocca temi al tempo stesso tanto universali quanto intimi che è davvero impossibile non rimanerne colpiti. Anche chi vuole vivere giorno per giorno senza farsi domande sul futuro – immediato o remoto che sia – non potrà, almeno per un istante, pensare al significato del nostro stare sulla terra, al tempo che ci è concesso, all’imprevedibilità di situazioni che non possiamo controllare (il terremoto o altre catastrofi), alla durata del mondo, alle ragioni che ci spingono a continuare a resistere nonostante il dolore.
Premio Pulitzer per la narrativa nel 2007.

…dal libro al film…

Viggo Mortensen e Kodi Smith-McPhee
in una scena del film
Sul film c’è poco da dire e non perché sia un prodotto modesto, anzi. La pellicola di John Hillcoat segue molto da vicino il romanzo di McCarthy, lo rispetta, limitandosi a mettere in immagini le parole dello scrittore americano. L’insieme funziona, le atmosfere sono ben ricreate con i paesaggi desolati e spenti e gli episodi più crudi presenti nel libro vengono trattati senza censure, ma anche senza indulgere troppo su particolari macabri (niente gusto splatter, per fortuna). Viggo Mortensen – sempre più convincente – è bravo e credibile nel ruolo del padre protettivo e tenace. Ben calibrato anche l’inserimento dei brevi flashback, con scene prese dal passato remoto (il mondo com’era prima) e da quello più prossimo (con il mondo già cambiato) quando il viaggio verso il mare non era ancora iniziato e la madre-moglie dei due uomini era ancora presente.
Da vedere, ma soprattutto da leggere.

CHARLIE CITRINE
Dati film:
Titolo: The Road
Titolo originale: The Road
Regista: John Hillcoat
Sceneggiatura: Joe Penhall (romanzo:Cormac McCarthy)
Interpreti:
·         Viggo Mortensen (padre)
·         Kodi Smith-McPhee (figlio)
·         Charlize Theron (madre)
·         Robert Duvall (vecchio)
Anno: 2009
Paese: Stati Uniti
Colore: Colore
Durata: 111 minuti
Genere: Drammatico
Internet Movie Data base

venerdì 11 marzo 2011

I Love Shopping

Titolo: I Love Shopping
Titolo originale: The Secret Dreamworld of a Shopaholic (Confessions of a Shopaholic negli USA)
Autore: Sophie Kinsella
Anno: 2000

Il libro…

The Secret Dreamworld of a Shopaholic (Confessions of a Shopaholic negli Stati Uniti) tradotto intelligentemente in I Love Shopping è il primo romanzo di una lunga saga scritto da Madeline Wickham con lo pseudonimo di Sophie Kinsella. Si tratta di una delle più celebri opere della cosiddetta letteratura chick lit.
La cover della
edizione italiana- Mondadori
 Rebecca Bloomwood vive in un appartamento nella ricca Fulham, quartiere alla moda di Londra, grazie alla sua benestante coinquilina e inseparabile amica Suze.
Dopo essersi laureata in economia, Becky è diventata una giornalista finanziaria per la rivista “Far Fortuna Risparmiando” (“Successful Savings”); questa occupazione, tuttavia, la annoia.
È carina, non priva di inventiva e ha un’irresistibile passione: lo shopping che la spinge a comprare senza freni di tutto, dagli abiti di griffe famose agli accessori, ai cosmetici, ai dolci, alla biancheria, agli inutili articoli per la casa, eccetera.
Per lei comprare è “come svegliarsi al mattino e rendersi conto che è sabato. È come i momenti migliori del sesso”. Esce di casa per andare al lavoro e si sente mancare se non può acquistare l’ennesimo golfino.
Se Suze arriva a chiudere un occhio sulla sua insolvenza nel pagarle l’affitto mensile, lo stesso non possono fare le Banche. Il debito considerevole sulle carte di credito non fa sconti e un piacere può trasformarsi in una terribile dipendenza con tutti i guai che si porta dietro.
Beky, però, ha di buono che non tradisce mai la sua sincerità e i suoi sentimenti, anche a costo di mettere a repentaglio la sua vita sentimentale, la sua carriera e il suo quanto mai indispensabile stipendio pur di salvare le persone che ama e le giuste cause.
Forse questo la potrà redimere: sapere che nella vita esiste qualcosa che non è in vendita.
Il romanzo vola sul filo della commedia, la trama può considerarsi banale come lo è spesso la nostra vita: il realismo, dunque, non manca. La voglia di svago fa sfogliare le pagine in modo veloce e piacevole.

Il libro è condito con quella leggerezza che amo tanto nelle donne quando entrano in un negozio e sanno che questo significa anche un po’ sognare.
Indipendentemente dal fatto di comprare qualcosa – come fa compulsivamente Beky – il desiderio si può esaudire anche solo provando qualcosa che spesso, una volta a casa, è già dimenticata perché di fatto superflua e perché quel che contava davvero era stare nel negozio.

Quante donne (e non solo) si sono riconosciute in queste situazioni? Per questo I Love Shopping ha venduto un sacco di copie nel mondo: nessuna ragazza ha potuto fare a meno di leggerlo (anche quelle che negano).

…dal libro al film…



Il film non gioca sul piano dell’identificazione con il pubblico e cade nel più facile dei rischi: banalizzare la storia peggiorando il tutto in un inevitabile “spottone” pubblicitario pieno di luci e colori. Prodotto solo per fare cassetta.
Locandina del film lingua inglese
P.J. Hogan e soci credendo di fare piccoli ritocchi in realtà stravolgono la trama e i personaggi: siamo a New York e non a Londra, Luc Brandon è troppo buono rispetto al libro e non è trattata la figura di Tarquin, il fratello di Suze, aristocratico scozzese dandy e sfigato, improponibile in versione statunitense ma indispensabile per dar complessità al personaggio di Rebecca.
In definitiva tutto è molto “pornografico”: gli abiti scintillanti sono cose che nessuno indosserebbe e le recitazioni potrebbero anche essere buone ma risultano false ed esagerate: Alicia Billington (Leslie Bibbs) rivale di Beky poi sembra davvero una pornostar.
Rebecca appare per lo più come una scema superficiale senza fascino e la maggior parte del pubblico femminile secondo me fatica a riconoscersi in lei come era, invece, possibile fare con il personaggio del libro.
Isla Fisher (la Beky del film) è, infatti, tutta un insieme di gridolini, saltelli, smorfie e carinerie.
In definitiva, “Shopaholic” è solo da leggere.

WAYNE

Dati film:

Titolo: I love shopping
Titolo originale: Confessions of a Shopaholic
Regista: P.J. Hogan
Sceneggiatura: Tracey Jackson, Tim Firth, Kayla Alpert (romanzo: Sophie Kinsella) Interpreti:
· Isla Fisher (Rebecca Bloomwood)
· Krysten Ritter (Suze)
· Hugh Dancy (Luke Brandon)
Anno: 2009
Paese: USA
Colore: Colore
Durata: 104 minuti
Genere: Commedia/Romantico

lunedì 7 marzo 2011

Pop Porno, Godard e...

Ancora un post dedicato all’intreccio tra musica-video, libri e cinema.

Il Genio
Questa volta ci fermiamo in Italia con un duo di artisti salentino-milanesi che di nome fa Il Genio. La canzone in questione si intitola Pop Porno ed è stata un vero e proprio tormentone tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 (aggiungiamo subito un bel tormentone, non avendo nulla a che vedere con roba del tipo Waka Waka di questa estate o, peggio, Chiwawa di qualche anno fa). Usando la descrizione presa pari pari da Wikipedia (io non avrei saputo dire meglio) Pop Porno è definito “un brano raffinato che recupera le atmosfere della musica anni Sessanta, dello Shibuya kei e dell'easy listening internazionale”… Senza dubbio, un esperimento molto piacevole e reso ancora più interessante dal video che ne accompagnava la messa in onda.
E il clip è un vero intrico di rimandi e citazioni. Roba da malditesta. Come prima cosa si ricostruisce una scena di uno dei film rappresentativi della Nouvelle Vague, il Vivre sa vie (1962) di Jean Luc Godard. Alessandra Contini, voce de Il Genio, fa il verso ad Anna Karina, maliziosa protagonista della pellicola di Godard. Come la bellissima musa del maestro francese, la cantante improvvisa un balletto attorno a un tavolo da biliardo dove un ragazzo dall’aria indifferente tenta di fare qualche tiro (nel video interpretato dall’altra metà del gruppo, Gianluca De Rubertis).
Il gioco degli specchi continua. Non contenti della prima citazione ne infilano un’altra, sempre godariana: nel mezzo del brano i due accennano dei passi di quello che sembra proprio un ballo di gruppo, molto – tanto – simile a quello presente in A bande à part (1964) altro celebre film del francese (con la Karina sempre come attrice protagonista).
Ma non è finita qui. C’è ancora da scoprire qualcosa. Per esempio che la pettinatura e le movenze della cantante ricordano molto da vicino quelle di Uma Thurman in Pulp Fiction, quando lei e Travolta si cimentano nel famoso contest di ballo…
E tutto ciò non è per nulla casuale. Il cerchio si chiude se si pensa che Quentin Tarantino è un grande estimatore di Godard (anch’egli amante dei B-movie) e che in onore del cineasta francese ha chiamato la sua casa di produzione proprio A bande à part…
Quando dicevo che è “roba da malditesta” non scherzavo, dunque. Il regista di questa riuscita operazione è Stefano Mordini.
L’unica cosa che posso consigliarvi è guardarvi i video che linko di seguito…
CHARLIE CITRINE



mercoledì 2 marzo 2011

Blur e Arancia Meccanica


Malcom McDowell nei panni di Alex DeLarge - nel film
Un bel bicchiere di "latte più" al Korova Milk Bar, fra abbacinanti luci bianche, manichini di donne nude al posto dei tavolini e in sottofondo il ricordo dell'ultraviolenza estetizzante di Alex e dei suoi amici drughi.
I Blur (it's so 90's!) si rifanno ad Arancia Meccanica, lo straricordato, stracitato e precursore film di Stanley Kubrick del 1972.
Damon Albarn e soci  sono all'apice del successo quando, nel 1995, registrano il video di The Universal; a dirigerli è Jonathan Glazer, sperimentato e talentuoso regista di clip (fra gli artisti con i quali ha lavorato  troviamo Jamiroquai, Massive Attack, Radiohead...), qui bravo a ricreare l'atmosfera asettica e molto inquietante del famoso locale dove i degenerati protagonisti con occhio nero, tute bianche e ghigno perverso iniziavano le loro serate bevendo latte "rinforzato con qualche droguccia mezcalina" prima di passare alle violenze gratuite e alle crudeltà a cui si lasciavano frequentemente andare.
Com'è noto, tutto nasce dall'omonimo romanzo del 1962 dello scrittore inglese Anthony Burgess...
CHARLIE CITRINE