domenica 29 maggio 2011

Il sarto di Panama

Titolo: Il Sarto di Panama
Titolo originale: The Tailor of Panama
Autore: John Le Carré
Anno: 1996

Il libro…

John Le Carré conosce la materia perché ha davvero servito il Foreign Office britannico prima di diventare un celebre scrittore. Nel 1996, dopo alcuni anni di crisi di creatività (coincisi con la caduta del Muro di Berlino…) è tornato al successo con questo romanzo che pur trattando sempre di spionaggio, lo fa in maniera poco ortodossa, almeno per i canoni del genere spy. Insomma, niente agenti superefficienti alla James Bond, ma piuttosto tipi sfuggenti alla Andy Osnard (giudicando dalle rivelazioni di Wikileaks viene però da pensare che lo scacchiere internazionale sia gestito a livello di intelligence più da personaggi che assomigliano agli Osnard de Il Sarto di Panama che agli 007 di Ian Fleming).

Il bello è che non è solo una spy story, genere che vi confesso non mi ha mai intrigato molto: è soprattutto la storia di un uomo, il sarto inglese Harry Pendel, la cui impeccabile esistenza un bel giorno si rivela non essere proprio così candida e piuttosto rasenta una perfezione irreale oppure… totalmente fasulla: “Harry Pendel amava la moglie e i figli con una dedizione che possono comprendere soltanto coloro che non hanno mai avuto una famiglia, che non hanno mai saputo che cosa significhi rispettare un padre onesto, voler bene a una madre felice o accettarli come naturale ricompensa per il solo fatto di essere nati”.
Ma chi nell’ambiguo paradiso di Panama in fondo non nasconde qualcosa del suo passato? Harry sembra non aver trovato altro che il suo posto, un mini-Stato facile a sfaldarsi, dove i dittatori si susseguono, la corruzione continua e gli interessi per la gestione del Canale sono sempre sotto gli occhi di tutte le potenze mondiali in cerca di un nuovo ordine alla fine della Guerra Fredda (e prima dell’ 11 settembre).
Chi dice la verità in un Paese  corrotto o non sopravvive o ha il volto sfregiato di Marta, l’amante mai consumata di Harry; oppure ha i tratti dell’amico Mikie, ormai alcolizzato per dimenticare la prigione riservata agli oppositori del deposto Noriega.
La menzogna aiuta a vivere o distrugge le vite? A volte anche il mondo è in cerca di bugie vendibili e convenienti e quando l’agente segreto Andy Osnard pretende da Harry, ricattandolo, di ottenere informazioni sulla sua clientela di alto bordo che arriva fino al presidente, Pendel comincia a fare la cosa che sa fare meglio, oltre a confezionare splendidi completi: mentire per coprire le sue menzogne e utilizzando frammenti del mondo reale ne costruisce uno immaginario, su misura per il suo cliente, nientemeno che la cara vecchia Inghilterra, delegata nelle mani del navigato agente Osnard.

Pochi di voi si saranno trovati invischiati in vicende di spionaggio internazionale ma chi non si è mai trovato in una situazione simile nella vita? Intendo in quella di poter mischiare l’essere e l’apparire e – ad un certo punto – vedere il baratro, sentire che ci si può cadere dentro in un attimo, fino a perdersi. Fortunatamente più spesso ci spaventiamo, come quando guardiamo Pirandello a teatro, giuriamo a noi stessi di essere sinceri con la vita e non solo con noi stessi. Perché quando le fandonie diventano la “verità”, inevitabilmente, ci si espone al rischio di seri guai, come accade in questa avvincente storia dove le menzogne di un singolo si trasformano in quelle del mondo intero. E da farsa tutto può trasformarsi in tragedia.
Eppure la finzione è anche opera d’arte: “Ogni cosa al mondo diventa vera, se te la inventi con forza sufficiente e vuoi bene alla persona alla quale è destinata”: certo se Pendel credesse davvero a questa giustificazione allora sarebbe diventato un artista (Le Carré stesso?).
Che differenza c’è tra un artista e un bugiardo? Ecco un altro tema sotteso: forse si tratta di saper ascoltare le persone a noi vicine e care (le relazioni che ci rendono vivi e veri) anche quando queste sono dei falliti, ormai vinti dalla vita, impossibili da redimere appiccicando loro addosso un abito di eroismo. Questo differenzia la politica dall’arte: ascoltare anche le verità scomode degli altri piuttosto che imporre una propria verità da dare alle stampe per la gloria della nazione o la serenità famigliare.
Questo libro non aiuta di certo a fugare i dubbi, che sono certo avranno sfiorato la mente di ciascuno di voi alla notizia dell’ uccisione di Osama Bin Laden, nascosto in un covo poco distante da una caserma di  militari Pachistani oppure anche all’ arresto del presidente dell’FMI a New York, D. Strauss-Kahn, uno degli uomini più ricchi del mondo per violenza su una cameriera d’albergo: sono convinto che l’uno sia un pazzo e l’altro un maniaco ma non vi nego che il dubbio del “trappolone” mi abbia sfiorato, forse proprio perché suggeritomi da Harry Pendel.

…dal libro al film… 
Jamie Lee Curtis e Pierce Brosnam 
in una scena del film

In definitiva il film mi ha convinto ma questa convinzione non è arrivata subito. È ben orchestrato perché sa render più snello il racconto senza perderne di significato complessivo. Certo abbandona i temi riflessivi affidati ai pensieri di Harry o di Andy o della voce narrante nel libro e questa perdita può farci propendere per un giudizio negativo ma in fondo questa eliminazione rende il tutto più fruibile col mezzo cinematografico.
La cosa che all’inizio mi ha lasciato un po’ perplesso è l’aria da soap opera che avvolge dialoghi e fotografia. Sembrava una scelta sbagliata e denigratoria nei confronti del romanzo oppure dovuta a ristrettezze economiche del budget (soprattutto quando inquadrano, per gli spostamenti aerei, un modellino di boeing che in realtà è fermo mentre il cielo di cartapesta dietro si  muove…). Poi osservando Pierce Brosnan, che un po’ la “faccia da  telenovela l’ha sempre,  ho capito che era stata una scelta meditata fin dal casting: questa storia, sembra dirci il regista, è davvero tutta una soap opera – noiosa o piacevole che sia – con la sua dose di superfluo e con un bel po’ di battute scontate. Forse ne vogliamo fuggire, tuttavia la convincente Jamie Lee Curtis e l’azzeccato Goffrey Rush nelle vesti del sarto Pendel sono bravi a farci intravedere quegli squarci di realtà in una storia di finzioni.   

WAYNE

Dati film:

Titolo: The Tailor of Panama
Regista: John Boorman
Scenegiatura: Andrew Davies (romanzo: John Le Carré)
Interpreti:
  • Pierce Brosnan (Andrew Osnard)
  • Jamie Lee Curtis (Louisa Pendel)
  • Goffrey Rush (Harry Pendel)
Anno: 2001
Paese: USA, Irlanda
Colore: Colore
Durata: 109 min
Genere: Thriller
Internet Movie Data base

lunedì 16 maggio 2011

Misery

Titolo: Misery
Titolo originale: Misery
Autore: Stephen King
Anno: 1987

Il libro...

Kathy Bates - Annie Wilkies in una scena del film
Parto con due domande che apparentemente hanno poco a che fare l'una con l’altra. La prima: non vi è mai capitato di desiderare di poter leggere il seguito di un romanzo che, invece, seguito non ha mai avuto? Insomma del tipo “ma alla fine Renzo Tramaglino avrà divorziato da quella noiosa e forse frigida piattola di Lucia Mondella per una tipa più sciolta o l’avrà sopportata fino alla fine dei suoi giorni?”. La seconda domanda: è possibile che un libro possa letteralmente salvare o allungare una vita?
In un caso il desiderio si può scontrare con oggettive difficoltà di fattibilità, specialmente se l’autore è già passato a miglior vita e quindi, non è più convincibile da un assegno a sei zeri di un magnate dell’industria culturale, pronto a  sganciargli un sostanzioso anticipo per narrare la vecchiaia di qualche eroe di cui aveva raccontato con successo la gioventù.
Nell’altro caso, l’azione del raccontare (ovvero dell’occupare il proprio tempo e quello altrui con parole) può, in effetti, trasformarsi in una maniera per dilazionare e allontanare il verificarsi di qualche fatto funesto. E questo è già accaduto in passato, a partire da Le Mille e una notte (con l’ingegnosa Sherazade che, per salvarsi dal re-marito crudele che uccide ogni prima notte di nozze le sue spose, gli racconta storie che finiscono sempre il mattino dopo, salvandosi così la vita) fino allo spot Telecom di qualche anno fa con protagonista Massimo Lopez (il famoso condannato a morte che chiede di fare l’ultima lunghissima chiamata… colpo di genio dell’Agenzia Armando Testa. Da recuperare su YouTube).
Ecco, tutto questo sproloquio per dire che in Misery, King ha affrontato sia una che l’altra questione. Il tutto all’interno di un romanzo (forse uno dei migliori del “Re”) dove – in modo davvero efficace – si dimostra quanto la scrittura e i libri siano parte, addirittura si mischino, della nostra vita quotidiana e non siano solamente un semplice accessorio o un puro passatempo.
Paul Sheldon è un romanziere di successo, famoso soprattutto per aver inventato e sfruttato il personaggio di Misery, eroina romantica, protagonista dei suoi libri. Mentre rientra a casa in auto, con il nuovo manoscritto appena terminato appoggiato sul sedile del passeggero, Sheldon perde il controllo della sua autovettura e si schianta in una zona impervia tra le montagne innevate del Colorado. Si risveglia giorni dopo in una stanza che non conosce in balia delle cure di una donna, Annie Wilkies, sua salvatrice, ma anche sua fanatica ammiratrice. La donna un ex-infermiera con la mania della lettura è infuriata con Sheldon per aver fatto morire, nel suo ultimo libro, il personaggio di Misery. Per questa ragione è pronta a tutto per costringere lo scrittore a inventare una storia tutta per lei, dove la sua beniamina tornerà a vivere…
Moderna Sherazade, il segregato Sheldon ha come unico obiettivo quello di sopravvivere alle sevizie che la psicopatica Annie, ammiratrice schizoide e infermiera da incubo, gli infligge.
Ma i temi del romanzo vanno oltre il potere della scrittura.
King indaga anche il prepotente istinto di sopravvivenza e di adattamento che si sviluppa nell’uomo, soprattutto quando si ritrova in situazioni estremamente scomode e dolorose. Sheldon vuole vivere, vuole scappare da quella casa maledetta e tornare alla sua solita esistenza. Ma per riuscirci deve resistere e resistere significa non solamente essere costretto a superare, giorno dopo giorno, il tremendo dolore fisico e psicologico che Annie gli procura. Per venirne fuori è necessario alzare la soglia della sofferenza e nel contempo venire a patti con la mente malata della sua carceriera.
Un altro elemento è quello dell’insaziabile voracità dell’ammiratore nei confronti della star e/o dell’artista (Annie si presenta a un ancora interdetto Paul con la poco rassicurante frase: “Sono la tua ammiratrice numero uno!”).
Il fan è avido, invadente, poco disponibile ai cambiamenti e intellettualmente poco curioso ad esplorare nuovi ambiti. Il fan è un terribile conservatore che prende in ostaggio il proprio idolo costringendolo a rifare – con qualche piccola modifica – sempre la stessa cosa. Non perdona nessun allontanamento dalla tradizione, arrivando a soffocare la creatività dell’artista di turno, preferendo ascoltare, vedere o leggere continue varianti di quello che gli è piaciuto una volta.
C’è, infine, la follia che porta alla degenerazione dell’animo umano (ma anche animale, come accade in romanzi come Cujo, per esempio) e che spinge a comportamenti estremamente malvagi. Annie è, per questa ragione, uno fra i “cattivi” più insopportabili e sgradevoli della storia della fiction mondiale. In assenza di mostri, vampiri o presenze dell’oltretomba, ciò che fa paura in quest’opera di King è l’imprevedibile crudeltà che muove le azioni e i pensieri della donna. È impossibile trovare un criterio logico: bisogna valutare volta per volta e pregare che il mostro dentro di lei non si risvegli e non chieda una vittima per saziare la propria sete… (anche Jack Torrence in Shining mostrava caratteristiche analoghe). Annie mette a disagio noi che dall’altra parte delle pagine c’immaginiamo cosa sia costretto a subire e – a suo malgrado – a sopportare Sheldon.
Romanzo superbo.
…dal libro al film…
Sul film dirò poco. E non perché sia stata una delusione o perché abbia tradito lo spirito del libro, anzi. La pellicola del bravo Bob Reiner ricostruisce bene le atmosfere del romanzo e non si dimentica la suspense che lo pervade. Il regista aveva già collaborato con King all’epoca del pregevole Stand by Me – Ricordo di un estate del 1986, film tratto da una storia contenuta in Stagioni Diverse, antologia di racconti che il “Re” ha pubblicato nel 1982.  
Ugualmente fanno il loro dovere gli attori James Caan e Kathy Bates. A dire il vero, la Bates (che per questa interpretazione ottenne un Oscar) dà un’ottima prova impersonando nel migliore dei modi la brutta pazzoide Annie Wilkies. 
Complessivamente, quindi, si tratta di un buon film, ben confezionato, curato e che non fa torto al libro eppure… eppure rispetto al romanzo rimane secondario, opzionale. Quello che intendo dire è che se dovessi scegliere a quale forma espressiva dare la precedenza, beh non avrei alcun dubbio a indicare il romanzo.
Niente di male nel gustarsi il film di Reiner, piuttosto il vero delitto sarebbe limitarsi a questo senza leggere il libro!
 
 
CHARLIE CITRINE
 
 
Dati film
Titolo: Misery non deve morire
Titolo originale: Misery
Regista: Rob Reiner
Sceneggiatura: William Goldman (romanzo: Stephen King)
Interpreti:
·         Kathy Bates (Annie Wilkies)
·         James Caan (Paul Sheldon)  
·         Lauren Bacall (Marcia Sindell)
Anno: 1990
Paese: USA
Colore: Colore
Durata: 107 minuti
Genere: Thriller
 Un estratto dal romanzo (Sperling Paperback, 1991, pp. 3-4):  
“[…] Con il passar del tempo, s’accorse che c’erano periodi di non-dolore e che questi periodi avevano una cadenza ciclica. E per la prima volta da quando era bambino era emerso dal buio totale che aveva anticipato la nebbia, formulò un pensiero separato dall’incomprensibile situazione in cui si trovava. Era il pensiero di un pilone spezzato che sporgeva dalla sabbia a Revere Beach. Suo padre e sua madre lo avevano condotto spesso a Revere Beach da bambino e lui pretendeva sempre che stendessero la coperta in un punto da dove potesse tenere un occhio su quel pilone, che a lui sembrava come l’unica zanna di un mostro sepolto. Gli piaceva sedersi a osservare l’acqua salire a coprire lo spuntone. Poi, ore più tardi, dopo che erano stati consumati i sandwich e le patate in insalata, dopo che erano state spillate anche le ultime gocce di Kool-Aid dal grosso thermos di suo padre, appena prima che mamma dichiarasse che era il momento di sbaraccare per tornare a casa, la cima di quel pilone marcio faceva di nuovo capolino un balenare istantaneo dapprincipio, nel riflusso delle onde poi sempre di più. Ora che avanzi e rifiuti erano stati gettati nel grosso bidone con la scritta TENETE PULITA LA VOSTRA SPIAGGIA e i giocattoli di Paulie erano stati raccolti
(‘Paulie è il mio nome è così che mi chiamo e questa sera la mamma mi metterà il Baby Oil della Johnson sulle scottature’ pensò dentro il cirrocumulo in cui viveva ora)
e la coperta ripiegata, il pilone era quasi completamente ricomparso, con il suo legno nerastro e viscido circondato da grappoli di schiuma. Era la marea, aveva cercato di spiegargli suo padre, ma lui aveva sempre saputo che era il pilone. La marea andava e veniva; il pilone restava. Solo che certe volte non lo si vedeva. Senza pilone, non c’era nemmeno la marea”.

martedì 3 maggio 2011

Un post, due proposte

Come direbbero i più scarsi venditori di pentole e spazzole: "questa volta voglio proprio rovinarmi!". Ecco perché in questo post propongo non uno, ma ben due libri che sono diventati film. Anticipo già che - per entrambi - il mio personalissimo “mi piace” va alle versioni cinematografiche.  

1. Il vecchio e il mare

Il primo libro-film è Il vecchio e il mare, dal romanzo breve del buon vecchio Ernest Hemingway. La storia è tanto nota quanto semplice: Santiago, un anziano, povero e malconcio pescatore di un’isola caraibica (probabilmente Cuba) non riesce a catturare nulla da numerose settimane. Sfiduciato e senza più speranze, esce un’ultima volta per mare, sebbene sia convinto che la mala sorte lo perseguiti e che anche quella volta le reti rimarranno desolatamente vuote. Ma il destino cambia, materializzandosi sotto forma di un enorme pesce – un marlin – con il quale ingaggia una battaglia fisica e psicologica lunga diversi giorni. Lasciandosi trascinare e strattonando, dando filo e tirandolo, riesce finalmente a stancare il bestione che ha abboccato all’amo. Sembra fatta, ma il ritorno verso la costa, al villaggio, riserverà altre sorprese al navigato pescatore.
Racconto bello e struggente (è sempre Hemingway, mica uno scribacchino qualsiasi) ma forse sopravvalutato e che frutterà al genio di Oak Park un Pulitzer (in ritardo, considerando altri e veri capolavori come Fiesta, Addio alle armi e Per chi suona la campana). Un anno dopo, nel 1954, sarà giustamente insignito del Nobel.
Spencer Tracy
Ma veniamo al film. Perché è meglio del libro? Risposta secca: perché c’è Spencer Tracy nel ruolo del povero pescatore Santiago. È un piacere vederlo muoversi con fatica sulla barchetta da pesca alle prese con reti, vele e quel maledetto marlin che non ne vuole proprio sapere di farsi catturare. È un piacere, poi, osservare la sua faccia segnata dal tempo che, dietro a un’espressione apparentemente burbera, nasconde una grande voglia di autoironia, di scetticismo, di presa in giro. Tracy è perfetto proprio perché riesce a interpretare un personaggio tragico e dolente, evitando però l’insidia di cadere in toni ridicolmente epici, del tipo “Lotta dell’Uomo contro la Natura” (con le prime lettere volutamente maiuscole…).
D’effetto poi la resa, nonostante tutto sia stato ricostruito in studio, dalla barca a vela al mare in tempesta fino al grosso marlin; si rimane ugualmente affascinati e inchiodati alla poltrona: non c’è effetto speciale che tenga. Suggestiva la fotografia.

Dati libro:
Titolo: Il vecchio e il mare
Titolo originale: The Old Man and the Sea
Autore: Ernest Hemingway
Anno: 1953

Dati film:   
Regista: John Sturges
Sceneggiatura: Peter Viertel (romanzo: Ernest Hemingway)
Interpreti:
·         Spencer Tracy (Santiago)
Anno: 1958
Paese: USA
Colore: Colore
Durata: 86 minuti
Genere: Drammatico
Internet Movie Data base

2. Giungla d'asfalto

Rimaniamo negli anni Cinquanta anche con il secondo libro-film. Questa volta però niente lotte titatiniche fra uomo-natura e niente allegorie che nascondono significati metafisici sul destino di ognuno di noi, ma la quotidiana e ordinaria violenza delle metropoli moderne. Il crimine dilaga nelle “giungle d’asfalto” del dopoguerra, popolate da tipi loschi, gangster spietati e un sottobosco di individui che fa dell’illegalità il proprio stile di vita.  Ad arginare il marcio che avanza solamente pochi tutori dell’ordine che cercano di fare del loro meglio per mantenere un equilibrio tra lecito e illecito.

William R. Burnett. onesto artigiano della macchina da scrivere, ci racconta il colpo del secolo: una rapina da un milione di dollari a una gioielleria organizzata meticolosamente da una squadra di professionisti, ognuno esperto nel suo “campo” e tutti in grado di agire con freddezza anche nelle situazioni di forte stress.  Ogni passaggio è studiato nel dettaglio: movimenti sincronizzati, attenzione ai minimi particolari, ottimizzazione del tempo. Ma anche la persona più abile a prevenire le situazioni pericolose, a evitare gli incidenti deve – prima o poi nella vita - scontrarsi con l’imponderabile. E allora tutta l’organizzazione, anche quella in apparenza più solida, si trasforma in un castello di carte a cui viene acceso di fronte un ventilatore… tutto crolla.
Una gangster story ben scritta e godibile che è stata trasformata in un grande film da John Huston. Sapiente uso della macchina da presa, inquadrature mai banali, la capacità di sfruttare tutte le potenzialità del bianco e nero e la bravura di dirigere tanti attori caratteristi, qui spremuti per farne uscire il meglio da ognuno. Per non parlare dell’esperienza nel saper tenere sotto controllo i tempi, soprattutto in  una storia poliziesca che basa una buona fetta del successo proprio sul ritmo. Il senso della tragedia è rispettato: il crimine non solamente non paga ma una maledizione sembra colpire i partecipanti alla rapina.
Recita anche una giovane Marilyn Monroe.

Dati libro:
Titolo: Giungla d’asfalto
Titolo originale: The Asphalt Jungle
Autore: William R. Burnett
Anno: 1949

Dati film: 
Regista: John Huston
Sceneggiatura: Ben Maddow, John Huston (romanzo: William R. Burnett)
Interpreti:
·         Sterling Hayden (Dix Handley)
·         Sam Jaffe (Doc Erwin Riedenschneider)
·         Louis Calherm (Alonzo D. Emmerich)
·         Marilyn Monroe (Angela Phinlay)
Anno: 1950
Paese: USA
Colore: Bianco e Nero
Durata: 112 minuti
Genere: Drammatico/poliziesco
Internet Movie Data base

CHARLIE CITRINE