martedì 28 giugno 2011

Turista per caso

Titolo: Turista per caso
Titolo originale: The Accidental Tourist
Autore: Anne Tyler
Anno: 1985

Il libro…

Non nascondo di essermi accostato ad Anne Tyler con una certa diffidenza. Mi ero messo in testa che fosse una scrittrice “per sole donne”, quelle che ti raccontano storie di principi azzurri lasciati scappare, di rimpianti per una gioventù mai vissuta fino in fondo, di estati sonnacchiose e di rapporti problematici con la propria madre.
La locandina del film
Bene, non so da dove venisse questo strano pregiudizio, so solamente che sono sempre stato alla larga dai suoi romanzi. Quando, in libreria, mi capitavano fra le mani mi bastava dare uno sguardo alla copertina per riporli sullo scaffale. Una diffidenza che è continuata fino a qualche settimana fa quando, rivedendo per l’ennesima volta – ma non è mai abbastanza – William Hurt e Kathleen Turner in Brivido caldo di Lawrence Kasdan mi è venuta in mente Turista per caso, altra pellicola del talentuoso regista americano, anch’essa con la Turner e Hurt come protagonisti. L’associazione con il libro della Tyler è stata immediata così come l’idea di poterne parlare nel blog. Bisognava, dunque, farsi forza e iniziare la lettura.  
Mentre mi preparavo allo sbadiglio e a commenti del tipo “ma come fanno a pubblicare certa roba!”, Anne Tyler mi ha sorpreso, avendo la meglio sulla mia prevenzione.
Ho, pertanto, dovuto ammettere che mi sbagliavo di grosso e promettere a me stesso – come accade ogni volta – che in futuro non mi sarei più fatto guidare da quegli stramaledetti preconcetti.  

Ma veniamo alla storia. Baltimora, anni Ottanta. Il protagonista Macon Leary (un uomo, dunque, non una donna!… così ho realizzato sin da subito che del lavoro della Tyler non avevo proprio capito nulla) è un borghese di mezza età abitudinario, metodico e riservatissimo – fino a rasentare la misantropia – oltre che incredibilmente prevedibile e un po’ noioso. Una terribile e recente tragedia lo ha – se possibile – reso ancora più schivo e lontano dal resto dell’umanità. Macon si guadagna da vivere come scrittore di fortunatissime guide di viaggio per persone che a viaggiare sono costrette come gli agenti di commercio, i rappresentanti, gli uomini di affari. Obiettivo di queste pubblicazioni è indicare al “turista per caso” o “per necessità” i posti dove ritrovare i luoghi familiari, le sicurezze dell’abitudine, in maniera da limitare al massimo il senso di lontananza da casa e da evitare il più grave inconveniente dello spostamento, ovvero l’imbattersi in qualcosa di nuovo. Tuttavia, la sua esistenza pianificata, sempre più povera di affetti, è improvvisamente esposta alla forza dirompente di un “ciclone” di donna che irromperà nel suo quotidiano, sconvolgendolo.

La Tyler è straordinaria nel costruire una storia umanissima e intima in cui è bello ritrovarsi e in cui ci si sente tirati in causa. E tutto partendo dalle piccole cose e dalla descrizione dei gesti e degli affetti più quotidiani e semplici. Altrettanto brava a bilanciare dolore e ironia, disillusione e speranza.

…dal libro al film…

Confermo la mia predilezione per Kasdan, regista che amo. La sua abilità nell’entrare nelle pieghe della storia (e non a caso è anche un valente sceneggiatore) si rivela dal modo in cui ricostruisce le situazioni, le ambientazioni, i dialoghi fino alla maniera con cui dirige gli attori e li fa muovere sul set. È un cinema di grande precisione, attento ai dettagli (una mano, una tazza sul tavolo, la scatola dei cereali sopra il frigorifero etc.) e concentrato sugli interpreti, valorizzati da inquadrature mai scontate (un’espressione, un sorriso, un movimento del corpo). Un cinema fatto di “cose” e di “persone”, di “spazi piccoli”, di battute azzeccate e credibili.
Un cinema anni Ottanta che – e forse cadrò nella trappola della nostalgia canaglia… - purtroppo non c’è più, spazzato via dalla frettolosità dei prodotti targati anni Novanta e dal gigantismo di quelli dei Duemila (ovvio che quando applico queste categorie non penso ai generi avventura/fantascienza/colossal, ma alle pellicole drammatiche o alle commedie, più o meno agrodolci, che si giravano in quel periodo).

Inoltre, la pellicola si avvale di tre stupendi interpreti. Partiamo da Kathleen Turner, regina di quel decennio, bellissima e raffinata, sensuale ma gelida, pericolosa e al contempo carica di ironia (una femme fatale che, tuttavia, riesce a prendere e a prendersi in giro… Il gioiello del Nilo docet). È lei l’antagonista per eccellenza, la donna di cui è sempre meglio non fidarsi ma dalla quale si è irrimediabilmente attratti (da bambino ne ero segretamente innamorato… ma forse lo sono ancora oggi). Qui è perfetta nel ruolo della ex moglie di Macon.
Poi c’è William Hurt, che per la capacità espressiva e la bravura nell’essere “conduttore” di sentimenti e stati d’animo potrebbe essere l’antitesi degli holliwoodiani “facce da sfinge” Tom Cruise, Nicholas Cage o, in tempi più recenti, Ben Affleck e per certi versi (e so che sarò criticato) Matt Damon. Non per insistere, ma negli anni Ottanta sceglievano gente come lui per fare film di successo. Gente vera, reale, che al posto di volti di cera aveva facce in cui le persone normali potevano ritrovarsi mentre, seduti al cinema, sgranocchiavano pop corn. Così, tanto per rendersi conto del calibro del personaggio, dal 1981 al 1990, Hurt è stato protagonista di film come Brivido caldo (1981), Il grande freddo (1983), Gorky Park  (1983), Il bacio della donna ragno (1985), Figli di un dio minore (1986), Dentro la notizia (1987) e Ti amerò... fino ad ammazzarti (1990).
Infine Geena Davis. La futura Thelma interpreta la scoppiettante e un po’ pazza Muriel, magrissima e iperattiva donna che scombinerà la vita di Macon. A suo agio con vestiti e accessori kitsch, unghie lunghe e il suo sorriso a 36 denti. Strameritato Oscar per la miglior attrice non protagonista. 

Recuperate sia il libro che il film!!

CHARLIE CITRINE

Dati film:
Titolo: Turista per caso
Titolo originale: The Accidental Tourist
Regista: Lawrence Kasdan
Sceneggiatura: Frank Galati, Lawrence Kasdan (romanzo: Anne Tyler)
Interpreti:
·         William Hurt (Macon Leary)
·         Geena Davis (Muriel Pritchett)
·         Kathleen Turner (Sarah Leary)
·         Bill Pullman (Julian)
·         Amy Wright (Rose Leary)
Anno: 1989
Paese: Stati Uniti
Colore: colore
Durata: 121 minuti
Genere: drammatico
Internet Movie Data base

martedì 21 giugno 2011

Il nostro agente all'Avana

Titolo: Il nostro agente all’Avana
Titolo originale: Our Man in Havana
Autore: Graham Greene
Anno: 1958

Il libro…

Le spie tutte di un pezzo, con la scriminatura dei capelli di lato e ben marcata, la mascella volitiva e l’occhio languido mi hanno – e da molto tempo – annoiato. Così come mi ha stancato la celebrazione dei servizi segreti di tutto il mondo, così superefficienti e infallibili, punto di raccolta di ogni diavoleria tecnologica. Volendo esagerare posso dire di essermi stufato anche delle bambolone supersexi o delle sophisticated ladies che immancabilmente cadono ai piedi dello 007 di turno. Ecco perché parlo volentieri di quegli scrittori e registi che hanno trasferito su carta e su pellicola romanzi e film che ironizzano su spionaggio e controspionaggio, demolendone quell’aura di invincibilità, mettendone a nudo i meccanismi più grotteschi e involontariamente comici che stanno dietro.

Come accade nel libro-film oggetto di questo post, ovvero Il nostro agente all'Avana di Graham Greene. Una storia non unica. Qualche settimana fa Wayne, dalle colonne del blog si è occupato de Il sarto di Panama  di Le Carrè, “figlio minore” di questo strafamoso romanzo. Mi vengono, inoltre, in mente altre due pellicole che si prendono gioco dell’argomento spionistico – con i suoi riti e i suoi protagonisti stereotipati –, ovvero Spie come noi di John Landis (1985) e Burning after Reading (2008), delizioso film dei fratelli Cohen. Sfruttare una di queste lunghe serate estive per vederseli in sequenza…  

Ma chi è questo agente con base all’Avana? Andiamo per gradi. Ci troviamo a Cuba, nel 1958, in piena Guerra Fredda. L’isola caraibica è scossa da una guerrilla interna fra i rivoluzionari (castristi, anche se Castro non viene mai citato) e le forze governative (quelle del dittatore Fulgencio Batista). Cuba è un territorio strategicamente rilevante e così al suo interno si muovono spie provenienti da ogni parte, tutte attivissime nel tramare, controllare, sabotare e riferire.
All'Avana, però, vive anche Mr. Wormold, un inglese di mezza età, modesto rappresentante di una ditta di aspirapolvere. Gli affari non vanno molto bene e la giovane figlia Milly spende più di quando dovrebbe; Wormold avrebbe bisogno di qualcosa che possa rimpinguare le sue scarse entrate e magari permettergli di tornare in Europa. Il destino si presenta sotto forma di un compassato connazionale che dice di essere un agente del controspionaggio. Il suo compito è reclutare agenti sul campo che siano in grado di raccogliere informazioni confidenziali. 
Senza che quasi se ne renda conto – e possa rifiutarsi di obbedire – il tranquillo negoziante di elettrodomestici diventa uno 007 al servizio di sua Maestà. Non deve far altro che dare informazioni. E non importa se queste non sono vere o, addirittura, non sono nemmeno verosimili. L’importante è far arrivare a Londra dispacci e rapporti cifrati dove si rivelano segreti inesistenti (il disegno di alcune parti di un aspirapolvere diventa uno spaventoso armamento costruito nel bel mezzo della foresta...). Tuttavia non tutto fila liscio: con i lauti compensi sotto forma di rimborsi spesa arrivano anche i guai. Verità e finzione si mischiano, così come l’effetto delle bugie che, a poco a poco, si rflette anche sulla vita reale. Ecco che - nel giro di poco - il mite e autoironico Wormold si trova invischiato in un gioco pericoloso, più grande di lui… 

Insomma, a metà strada tra e la spietatezza dei killer (con la famosa “licenza di uccidere”) e l’ottusità dei peggiori burocrati (le procedure da seguire, i rapporti da redigere, le gerarchie da rispettare) le spie si muovono per il mondo, arroganti e stolide, convinte di poter cambiare il corso delle cose, di averne in mano il destino. E Greene, da acuto osservatore qual è, sa come tirarne fuori una bella storia. Ancora attuale (purtroppo).

…dal libro al film…
Alec Guinness in una scena del film
Sul film poco da dire, nel senso che ricalca molto da vicino il libro. Ne è una sorta di precisa e piacevole versione illustrata (non è un caso che dello screenplay si sia occupato lo stesso Greene). Il regista Carol Reed fa, dunque, un onesto lavoro trasponendo su pellicola quello che già era stato messo su carta. Lo scarto, a mio parere, lo dà la presenza di Alec Guinness. Un attore straordinario, in grado di rimanere se stesso (con la sua “inglesità” ben appiccata addosso) pur interpretando personaggi diversi, dall’ottuso colonnello de Il ponte sul fiume Kwai, al Ben Obi-Wan Kenobi in Guerre Stellari fino al nostro agente per finta. Un mito, per davvero.

CHARLIE CITRINE

Dati film:

Titolo: Il nostro agente all’Avana
Titolo originale: Our Man in Havana
Regista: Carol Reed
Sceneggiatura: Graham Greene (romanzo: Graham Greene)
Interpreti:
·         Alec Guinnes (Jim Wormold)
·         Burl Ives (Dr. Hasselbacher)
·         Jo Morlow (Milly Wormold)
·         Maureen O’Hara (Beatrice Severn)
·         Ernie Kovacs (Capitano Segura)
Anno: 1959
Paese: Gran Bretagna
Colore: B/N
Durata: 111 minuti
Genere: Spionaggio/Commedia
Internet Movie Data base

martedì 14 giugno 2011

L'ultimo (doppio) sogno di Kubrick

Titolo: Doppio sogno
Titolo originale: Traumnovelle
Autore: Arthur Schnitzler
Anno: 1925

Il libro…

Discorso ozioso da serata estiva (nonostante le recenti piogge). Qualche giorno fa un’amica mi ha chiesto se – a parer mio – sognare di fare l’amore con qualcun altro che non sia il proprio compagno sia da considerare: a) alla stregua di un vero e proprio tradimento e b) l’anticamera di un disagio nascosto, dell’inadeguatezza della propria relazione di coppia. A lei era appena capitato e non nascondeva un certo senso di colpa.
Cercando di evitare “marzullate” sui sogni (tipo: “la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio…”), ho risposto che no, non è né uno né l’altro poiché l’abisso che si apre ogni qual volta si sogna è talmente grande, profondo e spaventoso che cercarne i confini è pura follia… Avevo, però, suggerito di non liberarsi la coscienza con il proprio compagno: una volta raccontato e portato fuori dal suo ambito naturale (cioè il subconscio) il sogno perde di significato, si trasforma e diventa qualcosa di banale, qualcosa che potrebbe anche essere frainteso.
La suggestione, tuttavia, non è caduta nel vuoto. Stuzzicato, ho cercato un confronto con un doppio (è proprio il caso di dirlo!) prodotto culturale letteralmente “divorato” alcuni anni fa: Doppio sogno, romanzo breve dell’austriaco Arthur Schnitzler, e Eyes Wide Shut, ultimo film di Stanley Kubrick.    

Inizio la (ri)lettura ed eccomi proiettato nel bel mezzo dell’intimità di una giovane coppia borghese, che dietro alla crosta superficiale fatta di tranquillità e certezze di una relazione felice, nasconde turbamenti e pulsioni contraddittorie.
Il teatro in cui l’azione si svolge è di quelli che affascinano: la Vienna degli anni Venti. A quell’epoca, in quella città si aggiravano – o avevano smesso da poco di aggirarsi… – personaggi come Gustave Klimt, Egon Schiele, Robert Musil, Sigmund Freud e “il nostro” Arthur Schnitzler. Una colta, giovane e frizzante borghesia agitava un po’ le acque ferme di una nazione divenuta Repubblica dopo non so quanti secoli di impero. Il Decadentismo viennese (chiamato così per spregio) dava dei buonissimi frutti.

Ma torniamo a Doppio sogno. Durante 48 ore molto agitate (tempo in cui si sviluppa il racconto) i due coniugi Fridolin e Albertine, ognuno sulla propria pelle, proveranno quanto complessi e poco univoci siano i sentimenti che tengono uniti le coppie e che – come fiumi sotterranei – scorrono attraverso le relazioni, anche quelle apparentemente più riuscite.
Un “doppio sogno” li coinvolge e li trascina in un gorgo di emozioni. C’è quello reale ma dai contorni talmente inquietanti, pericolosi e misteriosi da sembrare quasi immaginario vissuto dal marito. E c’è quello davvero sognato della moglie Albertine che, invece, rimane classicamente confinato in quella zona proibita popolata dai desideri più reconditi e inconfessabili. Fridolin, a spasso nella notte, è perso in una villa dove si consumano riti orgiastici estremi, Albertine, nel chiuso della sua camera da letto, è abbandonata a sogni hardcore con sconosciuti.
Nel sonno, quando la mente non è più vigile, le situazioni si ingarbugliano; tutto ciò che durante la veglia si escluderebbe di fare o dire, diventa allora possibile e plausibile. Durante il sogno i valori considerati imprescindibili e sui quali i protagonisti fondano la propria esistenza, quali la fedeltà, il rispetto reciproco e l’affetto, vengono dimenticati, accantonati. E hanno libero sfogo l’aggressività, i desideri insoddisfatti, le pulsioni a lungo represse, una sessualità finalmente disinibita.
Entrambi permettono al sogno di entrare nella vita reale, lasciandosi andare a reciproche confessioni che – ne sono convinto – rischiano di generare più confusione, fraintendimenti e danni del silenzio.
Arthur Schnitzler
Le ultime battute del racconto mi danno (modestamente…) ragione:

-         “E nessun sogno” disse egli con un leggero sospiro “è interamente sogno”.
Albertine prese la testa del marito fra le mani e l’attirò affettuosamente a sé. “Ma ora ci siamo sevgliati…” disse “per lungo tempo”.
Per sempre voleva aggiungere Fridolin, ma prima ancora che pronunciasse quelle parole, lei gli pose un dito sulle labbra e sussurrò come fra sé: “Non si può ipotecare il futuro”. 


Tutta materia per il caro vecchio Freud.

 …dal libro al film…

Cosa dire del film di Kubrick, dell’”ultimo capolavoro” del maestro? Bah… litri d’inchiostro versato e tanti pareri discordanti. E degli attori? Della coppia di Hollywood Tom Cruise e Nicole Kidman (lei davvero stupenda)? Bah… gli aneddoti sulle riprese hanno riempito le pagine di gossip per molti (troppi) mesi. Dal mio punto di vista la cosiddetta “chimica” fra i due non si è prodotta. Inoltre, una New York anni Novanta ricostruita in studio ha sostituito la vivace Vienna degli anni Venti.

Si alternano alcuni momenti molto efficaci e angoscianti (la ricerca della prostituta) ad altri un po’ meno riusciti (gli inserti di sogno della Kidman). Un po’ estetizzanti le scene di sesso nella villa, mentre inquietante è quella del “processo” che i monaci mascherati intentano nei riguardi di uno spaventato Cruise.
Al di là dei “se” e dei “ma” rimane un’ottima pellicola. Da vedere (magari dopo aver letto il libro).   

CHARLIE CITRINE

Dati film:

Titolo: Eyes Wide Shut
Titolo originale: Eyes Wide Shut
Regista: Stanley Kubrick
Sceneggiatura: Stanley Kubrick e Frederic Raphael (romanzo: Arthur Schnitzler)
Interpreti:
·         Tom Cruise (William Harford)
·         Nicole Kidman (Alice Harford)
·         Sidney Pollack (Victor Ziegler)
·         Todd Field (Nick Nightingale)
Anno: 1999
Paese: Stati Uniti/Gran Bretagna
Colore: colore
Durata: 159 minuti
Genere: drammatico

domenica 5 giugno 2011

Blade Runner e i sogni elettrici degli androidi

Titolo: Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
Titolo originale: Do Androids Dreams of Electric Sheep?
Autore: Philip K. Dick
Anno: 1968

Il libro…

Locandina del film
Metto le mani avanti e inizio ammettendo che la mia preparazione sul genere “fantascienza” rasenta lo zero. E ciò vale sia per l’ambito cinematografico sia – e soprattutto – per quanto riguarda la letteratura. Mi riferisco, in special modo, ai sottogeneri chiamati convenzionalmente space opera (quello dei viaggi interplanetari, delle astronavi, delle guerre fra galassie etc.) e hard science fiction (quello che può piacere ai nerd occhialuti, futuri fisici, ingegneri o matematici).
Non che non mi sia emozionato con i primi episodi di Guerre Stellari, addormentato con Tron e annoiato mortalmente con 2001 Odissea nello spazio, ma non sono mai andato troppo oltre. Mi sono, poi, tenuto alla larga dai vari Star Trek, dalle minacce extraterrestri, dai portali aperti su altre galassie, dagli incontri del terzo tipo e dai viaggi interplanetari. Infine, mancano all’appello sugli scaffali di casa mia i romanzi di Isaac Asimov e di Arthur C. Clarke...
Ben più grave, però, l’assenza di Philip K. Dick che con i filoni sopra citati in realtà c’entra poco. A colmare questa lacuna ci ha pensato – qualche settimana fa – un caro amico. Stanco di farmi citazioni che non potevo capire e disperato dopo l'ennesimo riferimento caduto nel vuoto, mi ha fatto avere Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, invitandomi a leggerlo e poi a farci un post (credo anche come verifica dell’avvenuta lettura…). Io gli ho dato la mia parola e così eccomi qua a provarci. Dico “a provarci” perché non sono sicuro di saper maneggiare la materia. Innanzitutto, perché Dick è un autore di culto con una schiera di fanatici ammiratori pronti a sostenerlo e a difenderne la memoria (il mio amico in primis). Cultori che ne hanno divorato e interiorizzato così bene l’opera omnia da ricordarne ogni passaggio. Secondo, perché proprio a questa opera di Dick è associato un film altrettanto famoso, anch’esso oggetto di venerazione degli amanti del genere. Dunque, doppio rischio di andare incontro agli anatemi di questi “custodi della tradizione”.
La storia è senza dubbio avvincente. Il pianeta Terra è semidistrutto e reso quasi invivibile dopo anni di guerre distruttrici e quella che fu la civiltà umana giace in gran parte sepolta sotto una coltre di polvere (“la palta”). Quasi tutte le specie animali e vegetali si sono estinte, salvo la presenza di rari esemplari, ormai divenuti oggetti di lusso per gli ultimi ricchi. La maggior parte degli esseri umani è emigrata in altri pianeti e nelle vecchie città ormai in decadenza abitano poche persone. Oltre agli uomini esistono gli androidi macchine supersofisticate dalle sembianze umane. Prodotti da potenti industrie multinazionali, gli androidi possono essere liberamente commercializzati negli altri pianeti, ma non sulla Terra. Compito del protagonista Rick Deckard, agente della polizia di San Francisco, è quello di cercare e eliminare i droidi. Il suo è un lavoro faticoso, sporco e molto rischioso. La vita su questa nuova Terra post-bellica corrotta e rovinata non è per niente facile: Deckard non deve solamente guardarsi le spalle dalle trappole che i droidi, sempre più “umani”, gli tendono, ma anche da una stanchezza intima e da un’infelicità latente che pervadono ogni aspetto della sua esistenza. Cosa gli rimane? Un mondo cupo e senza speranze dove esistono surrogati di felicità passate, una pseudo religione che dà false speranze, l’accompagnamento ossessivo dei monologhi di un comico trasmessi 24 ore su 24 dai mass media, delle città polverose e in disfacimento, la sua sempre più ambigua attrazione fisica per i droidi e i crescenti dubbi morali sulla loro eliminazione, il sogno proibito di guadagnare tanto per potersi finalmente comprare un animale vero, al posto della pecora elettrica che tiene sulla terrazza di casa. Infine, il forte sospetto che in nessuna parte nell’universo – anche nelle colonie dove gli umani in fuga dalla Terra hanno trovato scampo – ci sia un posto dove le cose vadano meglio.

Romanzo davvero molto affascinante, anche se a tratti – e lo dico a voce bassa – non così avvincente come mi sarei aspettato: specie nei punti dove avviene la cattura e il ritiro dei droidi manca un po’ di suspense, un po’ di pathos (tutto avviene troppo in fretta). Non mancano, per fortuna, una buona dose di ironia e la capacità di non prendersi troppo sul serio.
Riuscitissima la figura del poliziotto. Cinico, sarcastico, solitario, dalla vita privata disordinata ma umanissimo nelle sue debolezze, un personaggio a metà strada fra il detective anni Trenta-Quaranta (alla Sam Spade, per capirci) e il poliziotto cane sciolto, caparbio quanto imprevedibile. Mentre leggevo il romanzo, più che a Harrison Ford (che interpreterà Deckard nella versione cinematografica) mi è venuto in mente Mickey Rourke del film L’anno del Dragone di Michael Cimino.


…dal libro al film…


Alcuni criticano Ridley Scott (come del resto fanno con De Palma) perché a veri capolavori alterna film “solamente” buoni o discreti. Come se fosse facile azzeccare ogni volta la pellicola giusta! Al di là del fatto che anche i film meno “speciali” di Scott sono comunque sopra la norma (e questo vale anche per De Palma) vanno, invece, apprezzati sia la capacità del regista britannico di girare molto (non si risparmia) sia il coraggio di provare storie e generi sempre diversi (fantascienza, gangster movie, storico, guerra, fantasy, poliziesco etc.). Per chi avesse voglia di passare un paio di buone serate, consiglio di (ri-)guardare Alien (1979), Black Rain (1989) e Legend (1985) titoli di Scott di qualche anno anteriori/posteriori alla pellicola in oggetto e magari trovare le analogie... 
Rutger Hauer - Roy Batty in una scena del film
Tornando a Blade Runner. Ciò che non si discute è come tutto sia stato ricreato alla perfezione. Los Angeles (e non San Francisco come nel romanzo) è una metropoli senza confini, sovrappopolata e iperurbanizzata. È una città del futuro e come tale è immaginata a strati, sviluppata soprattutto in altezza (come non pensare a Metropolis di Fritz Lang?!). In basso è caotica, sporca, buia, piovosa, multietnica; lì ci stanno i poveri con i loro modesti commerci (sembra di essere in una rappresentazione stereotipata di qualche megalopoli asiatica). In alto abitano i ricchi, con i loro palazzi esclusivi da dove vedono sorgere e tramontare il sole (la suggestiva sala della Tyrrell Corp. sembra un tempio egizio). Effetti speciali ottimi per l’epoca che resistono ancora oggi e che non fanno pensare ai fondali di cartapesta. Un grande contributo lo dà la musica originale firmata da un maestro come Vangelis.
Ottimi gli interpreti. Harrison Ford è l’uomo giusto al posto giusto (e con la faccia giusta). Quale attore ha avuto l’occasione di diventare, nel giro di un decennio, Ian Solo, Deckard e Indiana Jones? Bravissimo mister occhi di ghiaccio Rutger Hauer. Chi meglio di lui poteva fare l’androide? Il monologo finale è famossimo e da brivido.
Unico neo, il titolo: Blade Runner è forse cinematograficamente più spendibile, ma rispetto a quello del romanzo infinitamente meno evocativo…

CHARLIE CITRINE

Dati film:
Titolo: Blade Runner
Titolo originale: Blade Runner
Regista: Ridley Scott
Sceneggiatura: Hampton Fancher e David Webb Peoples (romanzo: Philip K. Dick)
Interpreti:
·         Harrison Ford (Rick Deckard)
·         Rutger Hauer (Roy Batty)
·         Sean Young (Rachael)
·         Daryl Hannah (Pris)
Anno: 1982
Paese: Stati Uniti, Hong Kong
Colore: Colore
Durata: 117 minuti
Genere: Fantascienza/Thriller
Internet Movie Data base


domenica 29 maggio 2011

Il sarto di Panama

Titolo: Il Sarto di Panama
Titolo originale: The Tailor of Panama
Autore: John Le Carré
Anno: 1996

Il libro…

John Le Carré conosce la materia perché ha davvero servito il Foreign Office britannico prima di diventare un celebre scrittore. Nel 1996, dopo alcuni anni di crisi di creatività (coincisi con la caduta del Muro di Berlino…) è tornato al successo con questo romanzo che pur trattando sempre di spionaggio, lo fa in maniera poco ortodossa, almeno per i canoni del genere spy. Insomma, niente agenti superefficienti alla James Bond, ma piuttosto tipi sfuggenti alla Andy Osnard (giudicando dalle rivelazioni di Wikileaks viene però da pensare che lo scacchiere internazionale sia gestito a livello di intelligence più da personaggi che assomigliano agli Osnard de Il Sarto di Panama che agli 007 di Ian Fleming).

Il bello è che non è solo una spy story, genere che vi confesso non mi ha mai intrigato molto: è soprattutto la storia di un uomo, il sarto inglese Harry Pendel, la cui impeccabile esistenza un bel giorno si rivela non essere proprio così candida e piuttosto rasenta una perfezione irreale oppure… totalmente fasulla: “Harry Pendel amava la moglie e i figli con una dedizione che possono comprendere soltanto coloro che non hanno mai avuto una famiglia, che non hanno mai saputo che cosa significhi rispettare un padre onesto, voler bene a una madre felice o accettarli come naturale ricompensa per il solo fatto di essere nati”.
Ma chi nell’ambiguo paradiso di Panama in fondo non nasconde qualcosa del suo passato? Harry sembra non aver trovato altro che il suo posto, un mini-Stato facile a sfaldarsi, dove i dittatori si susseguono, la corruzione continua e gli interessi per la gestione del Canale sono sempre sotto gli occhi di tutte le potenze mondiali in cerca di un nuovo ordine alla fine della Guerra Fredda (e prima dell’ 11 settembre).
Chi dice la verità in un Paese  corrotto o non sopravvive o ha il volto sfregiato di Marta, l’amante mai consumata di Harry; oppure ha i tratti dell’amico Mikie, ormai alcolizzato per dimenticare la prigione riservata agli oppositori del deposto Noriega.
La menzogna aiuta a vivere o distrugge le vite? A volte anche il mondo è in cerca di bugie vendibili e convenienti e quando l’agente segreto Andy Osnard pretende da Harry, ricattandolo, di ottenere informazioni sulla sua clientela di alto bordo che arriva fino al presidente, Pendel comincia a fare la cosa che sa fare meglio, oltre a confezionare splendidi completi: mentire per coprire le sue menzogne e utilizzando frammenti del mondo reale ne costruisce uno immaginario, su misura per il suo cliente, nientemeno che la cara vecchia Inghilterra, delegata nelle mani del navigato agente Osnard.

Pochi di voi si saranno trovati invischiati in vicende di spionaggio internazionale ma chi non si è mai trovato in una situazione simile nella vita? Intendo in quella di poter mischiare l’essere e l’apparire e – ad un certo punto – vedere il baratro, sentire che ci si può cadere dentro in un attimo, fino a perdersi. Fortunatamente più spesso ci spaventiamo, come quando guardiamo Pirandello a teatro, giuriamo a noi stessi di essere sinceri con la vita e non solo con noi stessi. Perché quando le fandonie diventano la “verità”, inevitabilmente, ci si espone al rischio di seri guai, come accade in questa avvincente storia dove le menzogne di un singolo si trasformano in quelle del mondo intero. E da farsa tutto può trasformarsi in tragedia.
Eppure la finzione è anche opera d’arte: “Ogni cosa al mondo diventa vera, se te la inventi con forza sufficiente e vuoi bene alla persona alla quale è destinata”: certo se Pendel credesse davvero a questa giustificazione allora sarebbe diventato un artista (Le Carré stesso?).
Che differenza c’è tra un artista e un bugiardo? Ecco un altro tema sotteso: forse si tratta di saper ascoltare le persone a noi vicine e care (le relazioni che ci rendono vivi e veri) anche quando queste sono dei falliti, ormai vinti dalla vita, impossibili da redimere appiccicando loro addosso un abito di eroismo. Questo differenzia la politica dall’arte: ascoltare anche le verità scomode degli altri piuttosto che imporre una propria verità da dare alle stampe per la gloria della nazione o la serenità famigliare.
Questo libro non aiuta di certo a fugare i dubbi, che sono certo avranno sfiorato la mente di ciascuno di voi alla notizia dell’ uccisione di Osama Bin Laden, nascosto in un covo poco distante da una caserma di  militari Pachistani oppure anche all’ arresto del presidente dell’FMI a New York, D. Strauss-Kahn, uno degli uomini più ricchi del mondo per violenza su una cameriera d’albergo: sono convinto che l’uno sia un pazzo e l’altro un maniaco ma non vi nego che il dubbio del “trappolone” mi abbia sfiorato, forse proprio perché suggeritomi da Harry Pendel.

…dal libro al film… 
Jamie Lee Curtis e Pierce Brosnam 
in una scena del film

In definitiva il film mi ha convinto ma questa convinzione non è arrivata subito. È ben orchestrato perché sa render più snello il racconto senza perderne di significato complessivo. Certo abbandona i temi riflessivi affidati ai pensieri di Harry o di Andy o della voce narrante nel libro e questa perdita può farci propendere per un giudizio negativo ma in fondo questa eliminazione rende il tutto più fruibile col mezzo cinematografico.
La cosa che all’inizio mi ha lasciato un po’ perplesso è l’aria da soap opera che avvolge dialoghi e fotografia. Sembrava una scelta sbagliata e denigratoria nei confronti del romanzo oppure dovuta a ristrettezze economiche del budget (soprattutto quando inquadrano, per gli spostamenti aerei, un modellino di boeing che in realtà è fermo mentre il cielo di cartapesta dietro si  muove…). Poi osservando Pierce Brosnan, che un po’ la “faccia da  telenovela l’ha sempre,  ho capito che era stata una scelta meditata fin dal casting: questa storia, sembra dirci il regista, è davvero tutta una soap opera – noiosa o piacevole che sia – con la sua dose di superfluo e con un bel po’ di battute scontate. Forse ne vogliamo fuggire, tuttavia la convincente Jamie Lee Curtis e l’azzeccato Goffrey Rush nelle vesti del sarto Pendel sono bravi a farci intravedere quegli squarci di realtà in una storia di finzioni.   

WAYNE

Dati film:

Titolo: The Tailor of Panama
Regista: John Boorman
Scenegiatura: Andrew Davies (romanzo: John Le Carré)
Interpreti:
  • Pierce Brosnan (Andrew Osnard)
  • Jamie Lee Curtis (Louisa Pendel)
  • Goffrey Rush (Harry Pendel)
Anno: 2001
Paese: USA, Irlanda
Colore: Colore
Durata: 109 min
Genere: Thriller
Internet Movie Data base

lunedì 16 maggio 2011

Misery

Titolo: Misery
Titolo originale: Misery
Autore: Stephen King
Anno: 1987

Il libro...

Kathy Bates - Annie Wilkies in una scena del film
Parto con due domande che apparentemente hanno poco a che fare l'una con l’altra. La prima: non vi è mai capitato di desiderare di poter leggere il seguito di un romanzo che, invece, seguito non ha mai avuto? Insomma del tipo “ma alla fine Renzo Tramaglino avrà divorziato da quella noiosa e forse frigida piattola di Lucia Mondella per una tipa più sciolta o l’avrà sopportata fino alla fine dei suoi giorni?”. La seconda domanda: è possibile che un libro possa letteralmente salvare o allungare una vita?
In un caso il desiderio si può scontrare con oggettive difficoltà di fattibilità, specialmente se l’autore è già passato a miglior vita e quindi, non è più convincibile da un assegno a sei zeri di un magnate dell’industria culturale, pronto a  sganciargli un sostanzioso anticipo per narrare la vecchiaia di qualche eroe di cui aveva raccontato con successo la gioventù.
Nell’altro caso, l’azione del raccontare (ovvero dell’occupare il proprio tempo e quello altrui con parole) può, in effetti, trasformarsi in una maniera per dilazionare e allontanare il verificarsi di qualche fatto funesto. E questo è già accaduto in passato, a partire da Le Mille e una notte (con l’ingegnosa Sherazade che, per salvarsi dal re-marito crudele che uccide ogni prima notte di nozze le sue spose, gli racconta storie che finiscono sempre il mattino dopo, salvandosi così la vita) fino allo spot Telecom di qualche anno fa con protagonista Massimo Lopez (il famoso condannato a morte che chiede di fare l’ultima lunghissima chiamata… colpo di genio dell’Agenzia Armando Testa. Da recuperare su YouTube).
Ecco, tutto questo sproloquio per dire che in Misery, King ha affrontato sia una che l’altra questione. Il tutto all’interno di un romanzo (forse uno dei migliori del “Re”) dove – in modo davvero efficace – si dimostra quanto la scrittura e i libri siano parte, addirittura si mischino, della nostra vita quotidiana e non siano solamente un semplice accessorio o un puro passatempo.
Paul Sheldon è un romanziere di successo, famoso soprattutto per aver inventato e sfruttato il personaggio di Misery, eroina romantica, protagonista dei suoi libri. Mentre rientra a casa in auto, con il nuovo manoscritto appena terminato appoggiato sul sedile del passeggero, Sheldon perde il controllo della sua autovettura e si schianta in una zona impervia tra le montagne innevate del Colorado. Si risveglia giorni dopo in una stanza che non conosce in balia delle cure di una donna, Annie Wilkies, sua salvatrice, ma anche sua fanatica ammiratrice. La donna un ex-infermiera con la mania della lettura è infuriata con Sheldon per aver fatto morire, nel suo ultimo libro, il personaggio di Misery. Per questa ragione è pronta a tutto per costringere lo scrittore a inventare una storia tutta per lei, dove la sua beniamina tornerà a vivere…
Moderna Sherazade, il segregato Sheldon ha come unico obiettivo quello di sopravvivere alle sevizie che la psicopatica Annie, ammiratrice schizoide e infermiera da incubo, gli infligge.
Ma i temi del romanzo vanno oltre il potere della scrittura.
King indaga anche il prepotente istinto di sopravvivenza e di adattamento che si sviluppa nell’uomo, soprattutto quando si ritrova in situazioni estremamente scomode e dolorose. Sheldon vuole vivere, vuole scappare da quella casa maledetta e tornare alla sua solita esistenza. Ma per riuscirci deve resistere e resistere significa non solamente essere costretto a superare, giorno dopo giorno, il tremendo dolore fisico e psicologico che Annie gli procura. Per venirne fuori è necessario alzare la soglia della sofferenza e nel contempo venire a patti con la mente malata della sua carceriera.
Un altro elemento è quello dell’insaziabile voracità dell’ammiratore nei confronti della star e/o dell’artista (Annie si presenta a un ancora interdetto Paul con la poco rassicurante frase: “Sono la tua ammiratrice numero uno!”).
Il fan è avido, invadente, poco disponibile ai cambiamenti e intellettualmente poco curioso ad esplorare nuovi ambiti. Il fan è un terribile conservatore che prende in ostaggio il proprio idolo costringendolo a rifare – con qualche piccola modifica – sempre la stessa cosa. Non perdona nessun allontanamento dalla tradizione, arrivando a soffocare la creatività dell’artista di turno, preferendo ascoltare, vedere o leggere continue varianti di quello che gli è piaciuto una volta.
C’è, infine, la follia che porta alla degenerazione dell’animo umano (ma anche animale, come accade in romanzi come Cujo, per esempio) e che spinge a comportamenti estremamente malvagi. Annie è, per questa ragione, uno fra i “cattivi” più insopportabili e sgradevoli della storia della fiction mondiale. In assenza di mostri, vampiri o presenze dell’oltretomba, ciò che fa paura in quest’opera di King è l’imprevedibile crudeltà che muove le azioni e i pensieri della donna. È impossibile trovare un criterio logico: bisogna valutare volta per volta e pregare che il mostro dentro di lei non si risvegli e non chieda una vittima per saziare la propria sete… (anche Jack Torrence in Shining mostrava caratteristiche analoghe). Annie mette a disagio noi che dall’altra parte delle pagine c’immaginiamo cosa sia costretto a subire e – a suo malgrado – a sopportare Sheldon.
Romanzo superbo.
…dal libro al film…
Sul film dirò poco. E non perché sia stata una delusione o perché abbia tradito lo spirito del libro, anzi. La pellicola del bravo Bob Reiner ricostruisce bene le atmosfere del romanzo e non si dimentica la suspense che lo pervade. Il regista aveva già collaborato con King all’epoca del pregevole Stand by Me – Ricordo di un estate del 1986, film tratto da una storia contenuta in Stagioni Diverse, antologia di racconti che il “Re” ha pubblicato nel 1982.  
Ugualmente fanno il loro dovere gli attori James Caan e Kathy Bates. A dire il vero, la Bates (che per questa interpretazione ottenne un Oscar) dà un’ottima prova impersonando nel migliore dei modi la brutta pazzoide Annie Wilkies. 
Complessivamente, quindi, si tratta di un buon film, ben confezionato, curato e che non fa torto al libro eppure… eppure rispetto al romanzo rimane secondario, opzionale. Quello che intendo dire è che se dovessi scegliere a quale forma espressiva dare la precedenza, beh non avrei alcun dubbio a indicare il romanzo.
Niente di male nel gustarsi il film di Reiner, piuttosto il vero delitto sarebbe limitarsi a questo senza leggere il libro!
 
 
CHARLIE CITRINE
 
 
Dati film
Titolo: Misery non deve morire
Titolo originale: Misery
Regista: Rob Reiner
Sceneggiatura: William Goldman (romanzo: Stephen King)
Interpreti:
·         Kathy Bates (Annie Wilkies)
·         James Caan (Paul Sheldon)  
·         Lauren Bacall (Marcia Sindell)
Anno: 1990
Paese: USA
Colore: Colore
Durata: 107 minuti
Genere: Thriller
 Un estratto dal romanzo (Sperling Paperback, 1991, pp. 3-4):  
“[…] Con il passar del tempo, s’accorse che c’erano periodi di non-dolore e che questi periodi avevano una cadenza ciclica. E per la prima volta da quando era bambino era emerso dal buio totale che aveva anticipato la nebbia, formulò un pensiero separato dall’incomprensibile situazione in cui si trovava. Era il pensiero di un pilone spezzato che sporgeva dalla sabbia a Revere Beach. Suo padre e sua madre lo avevano condotto spesso a Revere Beach da bambino e lui pretendeva sempre che stendessero la coperta in un punto da dove potesse tenere un occhio su quel pilone, che a lui sembrava come l’unica zanna di un mostro sepolto. Gli piaceva sedersi a osservare l’acqua salire a coprire lo spuntone. Poi, ore più tardi, dopo che erano stati consumati i sandwich e le patate in insalata, dopo che erano state spillate anche le ultime gocce di Kool-Aid dal grosso thermos di suo padre, appena prima che mamma dichiarasse che era il momento di sbaraccare per tornare a casa, la cima di quel pilone marcio faceva di nuovo capolino un balenare istantaneo dapprincipio, nel riflusso delle onde poi sempre di più. Ora che avanzi e rifiuti erano stati gettati nel grosso bidone con la scritta TENETE PULITA LA VOSTRA SPIAGGIA e i giocattoli di Paulie erano stati raccolti
(‘Paulie è il mio nome è così che mi chiamo e questa sera la mamma mi metterà il Baby Oil della Johnson sulle scottature’ pensò dentro il cirrocumulo in cui viveva ora)
e la coperta ripiegata, il pilone era quasi completamente ricomparso, con il suo legno nerastro e viscido circondato da grappoli di schiuma. Era la marea, aveva cercato di spiegargli suo padre, ma lui aveva sempre saputo che era il pilone. La marea andava e veniva; il pilone restava. Solo che certe volte non lo si vedeva. Senza pilone, non c’era nemmeno la marea”.