giovedì 27 gennaio 2011

Kiss Me, una band texana e François Truffaut

(Ormai) solita deviazione cinematografico-musicale con un video che cita un grandissimo film. Il gruppo è quello dei texani Sixpence None the Richer, abbastanza famosi alla fine dei Novanta, soprattutto per la canzone Kiss Me, oggetto del post. Hanno fatto bingo quando questo orecchiabilissimo pezzo - che ci ha tormentato per qualche mese su radio e tv - è stato inserito nel teen drama Dawson's Creek. Beati loro...

Il film a cui hanno pensato nel loro video è uno dei classici della cinematografia: Jules et Jim di François Truffaut del 1962. Tutto è appositamente molto parigino, molto pittoresco, molto cliché, come in una gigantesca cartolina. Pur esagerando nelle citazioni, rimane ugualmente piacevole da guardare: nessuno, infatti, si prende sul serio (una cosa rara e sempre apprezzabile...). A partire dalle simpatiche smorfie della cantante Leigh Nash.

Tornerò a parlare di Jules et Jim in un prossimo post (non è una minaccia).

sabato 22 gennaio 2011

Il curioso caso di Benjamin Button

Titolo: Il curioso caso di Benjamin Button
Titolo originale: The Curious Case of Benjamin Button
Autore: Francis Scott Fitzgerald
Anno: 1922

Il libro…

La locandina del film - Warner Bros.
È davvero singolare il caso di Benjamin Button di Baltimora, bambino nato vecchio nel 1860 e vecchio morto neonato settanta anni più tardi. Nel mezzo una vita stupefacente. Lo stesso stupore misto a diffidenza che coglie medici, infermiere e genitori quando si trovano di fronte a quello strano fenomeno. Senza dubbio deve aver fatto una certa impressione il vederlo incastrato nella culla della nursery, con le gambe secche a penzoloni, la schiena incurvata, la barba e i capelli grigi. Il piccolo Benjamin non è che un “bebé di 14 lustri”, già in grado di parlare e di camminare, seppur a fatica, considerando il suo fisico indebolito…
Anche per Benjamin il tempo passa, ma a differenza di quello che accade al resto delle creature su questa terra, lo fa a ritroso, costringendolo a percorrere in senso inverso tutte le tappe della vita, in un continuo e inarrestabile processo di ringiovanimento.
La sua è un’esistenza curiosa, ma non sfortunata. Geniale negli affari e ben inserito in società, Benjamin vive soddisfazioni e delusioni, momenti felici e sventure come tutti gli altri uomini. A volte è solamente una questione di tempi differenti. Rifiutato dall’università di Yale in gioventù per il suo aspetto troppo vecchio, prende la propria rivincita in vecchiaia quando il fisico finalmente ringiovanito glielo permette. Ne più ne meno del resto dell’umanità anche Benjamin viene poco considerato ed emarginato nella vecchiaia, comandato e controllato nell'infanzia, mentre si sente pienamente realizzato e padrone del proprio destino nell’età adulta. L’unica differenza è che a lui tutto ciò arriverà in ordine contrario.

Questa short story fa parte dell’antologia Racconti dell’età del jazz, pubblicata nel 1922 da Fitzgerald. Tirandomela un po’ la definirei un divertissement, una specie di cazzeggio letterario dell’allora giovane scrittore americano. Niente di serio, dunque, ma una storiella piacevole piena di ironia e tanta leggerezza. Ci si aspetta drammi esistenziali, pensieri profondi, riflessioni sul tempo e sulla vita triste degli “errori della natura” e, invece, ci si trova di fronte a scenette piuttosto divertenti, quasi comiche. Da giovane, l’acciaccato e annoiato Benjamin, per far contento suo padre rompe i vetri, finge di essere un monello vivace, si tinge i capelli, si veste con i calzoncini corti. Da vecchio, il sempre più giovane protagonista è costretto dal figlio a appiccicarsi baffi posticci e a chiamarlo “zio” per evitare degli imbarazzi davanti agli altri… 

…dal libro al film…

Brad Pitt invecchiato in una scena del film
Della storia di Fitzgerald, David Fincher utilizza solamente l’idea di fondo del bambino nato vecchio che al posto di invecchiare ringiovanisce. Tutto il resto non c’entra nulla. La struttura e l’ambientazione, gli accadimenti, l’atmosfera che si respira nella pellicola rispetto a quella del libro sono completamente differenti.
Innanzitutto, la storia, che qui è costruita come un lungo flashback: la figlia di un’anziana donna in punto di morte scopre la verità sulla vita di sua madre rileggendone il diario. Tutto ciò mentre, all’esterno, l’uragano Kathrina sta raggiungendo la città di New Orleans. Secondariamente, la vicenda non è ambientata nell’Ottocento, ma percorre una buona fetta di Novecento. Terzo elemento di distinzione, la famiglia di Benjamin; nel film suo padre, disperato alla vista di quel bambino tanto particolare, lo abbandona sulle scale di un ospizio per anziani. Quarto, l’atmosfera farsesca e un po’ comica del racconto cede il passo a qualcosa di decisamente più serio, sentito, profondo. 
Nelle oltre due ore di durata della pellicola c’immergiamo nell’esistenza di Benjamin Button, ne seguiamo i passi nel mondo (la vita all’ospizio, i viaggi per mare e in Oriente, l’esperienza in guerra) e soprattutto ne conosciamo gli amori. O meglio l’amore per una donna, Daisy. I due si incontrano quando lei, bambina, va a trovare la nonna alloggiata all’ospizio dove vive anche Benjamin (vecchio d’aspetto ma non d’età, essendo quasi coetaneo della ragazzina). Fanno amicizia, giocano insieme, insomma s’intendono sin da subito. E da quel momento in poi le loro vite cominceranno a intrecciarsi, in un continuo perdersi e ritrovarsi.
Il tempo, però non gioca dalla loro parte e l’intenso legame che li unisce deve fare i conti con il “curioso” destino di Benjamin. Sanno che potranno essere felici solamente per un periodo limitato, quello della maturità, quando entrambi potranno godere appieno l’uno dell’altra prima che le loro esistenze riprendano a correre, ma in direzioni opposte: una verso la naturale vecchiaia e l’altra verso una stranissima giovinezza.

Gran bel film capace di farci partecipare e sentire “affetto” per la sorte dei personaggi. Si tratta, inoltre, di una struggente e profonda riflessione sul tempo e sulle circostanze. Osservando il caso di Benjamin e di Daisy, ci si accorge che per essere felici non è sufficiente incontrare le persone giuste, ma che è fondamentale imbatterci in esse al momento giusto. Accade che le cose belle, spesso, arrivino troppo presto o troppo tardi, in frangenti più o meno sbagliati, quando le nostre esistenze hanno preso direzioni ben chiare o quando tutto è già deciso e non si può più tornare indietro. Senza una certa sincronia, la felicità diviene ancora più fugace e imprendibile di quanto già non lo sia.
Bravo Brad Pitt (truccato da ottuagenario e ringiovanito al digitale, facendo ripensare alla sua apparizione in Thelma&Louise…) e strepitosa e sempre più affascinante Cate Blanchett (sia nella parte della giovane che in quella della donna matura).

Dati film:

Titolo: Il curioso caso di Benjamin Button
Titolo originale: The Curious Case of Benjamin Button
Regista: David Fincher
Sceneggiatura: Eric Roth, Robin Swicord (romanzo: Francis Scott Fitzgerald)
Interpreti:
·         Brad Pitt (Benjamin Button)
·         Cate Blanchett (Daisy)
·         Tilda Swinton (Elizabeth Abbott)
·         Julia Ormond (Caroline Button)
·         Jason  Flemyng (Thomas Button)
Anno: 2008
Paese: USA
Colore: Colore
Durata: 166 minuti
Genere:Drammatico

sabato 15 gennaio 2011

I fiumi di porpora

Titolo: I fiumi di porpora
Titolo originale: Les Rivières pourpres
Autore: Jean-Christophe Grangé
Anno: 1998

Il libro…

La tranquilla cittadina universitaria di Guernon, paesino montano vicino a Grenoble, viene sconvolta dal brutale omicidio del giovane Rémy Caillois, bibliotecario dell’ateneo. L’inquietante originalità del crimine sta nella messa in scena realizzata dall’assassino, che non si è limitato a uccidere la propria vittima, ma si è accanito su di lei, seviziandola, tagliandole entrambe le mani, cavandole gli occhi e poi piazzando il cadavere in un crepaccio, incastrato fra le rocce in posizione fetale.  
Intanto, a distanza di un centinaio di chilometri, nell’altrettanto pacifica località di Sarzac, una tomba e degli archivi della locale scuola elementare sono violati da sconosciuti. Sembra che i ladri si siano limitati a prendere alcune foto e le pagine dei registri scolastici relativi all'anno 1982.
A indagare su questi due episodi criminali, diversi per posizione geografica e gravità, sono i poliziotti Pierre Niémans e Karim Abdouf.  Il primo è un superpoliziotto, tanto famoso e celebrato quanto detestato e osteggiato. Il suo fiuto e la sua abilità sono pari alla sua incapacità di dominarsi e frenare gli accessi di rabbia che ne hanno condizionato la carriera. Il caso di Guernon è probabilmente l’ultimo della vita professionale di Niémans: a Parigi tutti vogliono la sua testa dopo che - durante un servizio d'ordine allo stadio - si è accanito su un hooligan inglese con una furia mai vista, riducendolo in fin di vita.  
Il secondo, invece, è un giovane poliziotto dalle grandi capacità ma – come Niémans – dal carattere spigoloso e difficile. È un beur, ovvero il figlio di immigrati magrebini, cresciuto nella banlieue parigina di Nanterre, dove prima di arruolarsi in polizia ha campato come piccolo delinquente e ladro d’auto. Adrenalinico e amante dell’azione nelle strade, è spedito nell’oscura provincia, fra le montagne, dopo essersi rifiutato di entrare nell’antiterrorismo.
Modi spicci, una buona dose di violenza e grande caparbietà sono i tratti che accomunano i due uomini. Entrambi i poliziotti quando fiutano un indizio non mollano la presa fino a che non hanno ottenuto tutte le spiegazioni. Il ricongiungimento delle due piste che autonomamente seguono, li porta a conoscersi e a incontrarsi all’ombra degli edifici che formano il complesso universitario di Guernon. Ed è proprio all’interno di quella comunità chiusa dove si favorisce e si coltiva l’elite intellettuale e fisica del futuro che si nascondono quegli oscuri segreti in grado di spiegare l’orrendo delitto di Caillois.

Sono convinto che se Jean-Christophe Grangé si fosse chiamato Christopher Grange (all’inglese) ora sarebbe al top delle classifiche, tra gli scrittori più venduti della terra. Da francese, invece, la vita si fa un po’ più dura. Non che questo abbia impedito all’autore parigino di vendere (tanto) e di farsi conoscere dal grande pubblico, ma è molto probabile che ne abbia limitato la diffusione, soprattutto in rapporto a quanto meriterebbe. Troppo “americano” nel modo di concepire il romanzo e nel modo di scrivere per essere completamente accettato dall’intellectaulité un po’ puzzona che risiede sia in Francia sia, in generale, nell’Europa continentale.
Io, invece, lo ammiro e  il mio giudizio non può che essere positivo, oltre che di parte. Infatti, pur non essendo un divoratore di best seller, considero Grangé un grande inventore/raccontatore di storie. D’altra parte, ha dalla sua tre caratteristiche fondamentali come:
1)      una grande inventiva
2)     la bravura nel costruire, intrecciare e portare avanti più storie contemporaneamente  
3)     una più che discreta abilità nel maneggiare le parole (sa anche quando è il momento di piazzare qualche banalità).
È a conoscenza di come si “fa” un romanzo e quali ingredienti ci vogliono per catturare l’attenzione del lettore, per “impedirgli” di spegnere la luce a un ora decente, la sera… costringendolo a stare sveglio per leggere “come va a finire”.  Questo, almeno, avviene per romanzi quali Il volo delle cicogne, Il concilio di pietra, L’impero dei lupi.
Quest’ultimo e I fiumi di porpora sono perfetti esempi della sua maniera di lavorare: trama complessa, avvincente e affascinante. Grangé, però, non si perde nei tanti elementi messi in gioco. Sa come tirare le fila e come rendere ogni cosa detta utile allo svelamento del mistero costruito durante la narrazione. Tutto ciò senza che la complessità dell’intreccio si trasformi in un peso e in un freno alla scorrevolezza. Anzi, direi che è piuttosto un valore aggiunto che ci ripaga dell’attenzione accordata durante la lettura.  

…dal libro al film…

Vincent Cassel e Jean Reno in una scena del film
Ed è proprio l’appena citata complessità dell’intreccio, il fattore che ha maggiormente pesato sulla piena riuscita della trasposizione cinematografica di Mathieu Kassovitz. Nonostante alla sceneggiatura abbia partecipato lo stesso Grangé (accreditato nei titoli di testa), il film, riducendo e modificando troppo la trama del libro, finisce con lo svilire tutta la vicenda narrata. Sembra di essere di fronte a un bigino mal scritto. Il lavoro certosino di raccolta delle prove e avvicinamento lento e ben studiato alla verità che si trova nel romanzo, è completamente stravolto nel film. I passaggi sono troppo bruschi e sembrano tagliati con l’accetta, le scoperte dei due poliziotti inspiegabili, il finale - con lo svelamento dell’inquietante verità che si nasconde nell’università di Guernon - troppo pasticciato. Gli stessi personaggi, punto di forza del romanzo, sono piuttosto incolore e spenti (addirittura nel film, il beur-poliziotto Abdouf cambia nome e perde i suoi tratti da arabo).
Non bastano nemmeno due bravi attori come Jean Reno e Vincent Cassel a risollevare il destino di un prodotto che per funzionare avrebbe dovuto essere diviso in puntate. Una mini-serie curata e con a disposizione mezzi finanziari adeguati avrebbe reso più giustizia all’originale su carta. Peccato (leggetevi il libro, se volete).   

Dati film:

Titolo: I fiumi di porpora
Titolo originale: Les Rivières pourpres
Regista: Mathieu Kassovitz
Sceneggiatura: Mathieu Kassovitz, Jean-Christophe Grangé (romanzo: Jean-Christophe Grangé)
Interpreti:
·         Jean Reno (Pierre Niémans)
·         Vincent Cassel (Max Kerkerian)
·         Nadia Farès (Fanny Ferreira)
·         Jean-Pierre Cassel (dr. Bernard Chernezé)
Anno: 2000
Paese: Francia
Colore: Colore
Durata: 106 minuti
Genere: Thriller
Internet Movie Data base

venerdì 7 gennaio 2011

Colazione da Tiffany

Titolo: Colazione da Tiffany
Titolo originale: Breakfast at Tiffany’s
Autore: Truman Capote
Anno: 1958

Il libro…


La locandina del film (Paramount)
Sembra che Truman Capote considerasse Holly Golightly uno dei suoi personaggi preferiti, a cui si diceva più affezionato. Non stento a crederlo. È, in effetti, difficile non provare qualcosa (dalla genuina simpatia fino al profondo fastidio, tutto è lecito) per questa strana creatura, protagonista del breve romanzo dello scrittore americano.
Tutta la storia ruota intorno a Holly. Ragazza copertina della New York degli anni Quaranta, è un’assidua frequentatrice della mondanità e di quel sottobosco popolato da belle ragazze un po’ ingenue, da attrici e modelle fallite, da accompagnatrici (escort?) furbe, da amanti mantenute, da scapoloni impenitenti, da industriali in libera uscita dalla moglie, da scrittori squattrinati e da diplomatici stranieri che per qualche ragione si trovano a passare dalla Grande Mela.
Nonostante si trovi a suo agio in quel mondo, risulta chiaro che Holly è una spanna superiore a tutti gli altri. Oltre alla freschezza, alla giovane età e alla bellezza, ciò che la rende speciale è racchiuso nel suo modo di essere. E, per la precisione, sta nei suoi capricci, nella sua intelligenza istintiva, nel suo carattere impossibile e lunatico (“le paturnie”), nella sua apparente e disarmante superficialità, nel suo cinismo. Sta anche nella sua carica sessuale, nella sua disinibizione (il parlare delle “lesbiche” e dei suoi rapporti al limite della bisessualità) e, nel medesimo tempo, nel suo ingenuo candore.
Possiede quello che si chiama fascino, classe innata, capacità di attirare le persone e, specialmente, gli uomini che, per lei, farebbero follie. E Holly non si tira indietro e non fa mistero di voler sfruttare queste sue doti per condurre una vita migliore, agiata, da signora privilegiata.
Se ne innamorerà – a suo modo – il narratore della storia, l’immancabile scrittore in erba, vicino di appartamento della rumorosissima Holly. “Fred”, come le piace chiamarlo, diventerà suo amico intimo, imparerà a conoscerla, ne subirà l’incanto. Scoprirà che l’esistenza di Holly è sì spensierata, ma solamente fino a un certo punto. Che esistono risvolti inaspettati e nascosti, come sono le sue umilissime origine, l’affetto sconfinato per il fratello e tutta la sua non sempre facile vita prima dell’arrivo a New York, con le follie della vita notturna e le visite da Tiffany.
Holly è più forte delle prove che il destino – in complicità con la sua condotta sregolata – le riserva e che lei, in genere, supera con una buona dose di incoscienza. Spinta da uno spirito un po’ nomade e solitario, è totalmente allergica all’abitudine e alla routine, del tutto incapace di mettere radici in un posto. Pronta a reinventarsi e a passare da una situazione all’altra, la sua non è altro che la continua ricerca di una collocazione nel mondo (che forse non vorrà mai trovare sul serio).

Truman Capote e il suo modo di narrare, freschissimo e divertente, erano talmente avanti già negli anni Cinquanta che molti autori di oggi – che si giudicano rivoluzionari – fanno la figura di vere e proprie salme imbalsamate.
La sua scrittura spaventosamente scorrevole, graffiante, secca, godibile e sorprendente gli consente di scrivere quello che gli pare. Anche di Holly e della sua vita scombiccherata.
Per cui l’unico invito che posso fare è (se non l’avete già fatto) di leggervi anche il libro, non limitandovi alla visione del film.   

…dal libro al film…

Il film, quello, è strafamoso e ricordato soprattutto per l’interpretazione che Audrey Hepburn fa di Holly Golightly. Talmente nota da diventare icona, una sorta di Che Guevara al femminile. Come è capitato al rivoluzionario latinoamericano anche il volto di Holly-Hepburn ormai infesta qualsiasi prodotto e accessorio, dalle magliette alle borse, dalle cartoline alle tendine per la doccia, fino ai coperchi per scatole e rivestimenti per poltrone. Una figura di culto, un’icona del pop che oggi pericolosamente si avvicina – ahimè – a un’icona del kitsch.  Non c’è ristorante, lounge bar, negozio di vestiti alla moda che non conservi un poster o un’immagine di lei mentre indossa il tubino nero e nella mano tiene la lunga sigaretta.  

Truman Capote

E pensare che Capote avrebbe preferito vedere Marilyn Monroe nei panni di Holly… 

La pellicola è molto ben girata dal maestro della commedia Blake Edwards. Ogni sua parte funziona alla meraviglia e scorre senza intoppi. Gli ingredienti ci sono tutti: una bella storia d’amore, un personaggio accattivante, un’attrice splendida come la Hepburn, un belloccio come George Peppard (il futuro e “mitico” Hannibal Smith dell’A-Team…), un personaggio caricaturale come il divertente Mr. Yunioshi (interpretato da Mickey Rooney) e una colonna sonora che ci si ricorda per tutta la vita (Moon River cantata dalla stessa Hepburn). Quello che manca è la metà oscura del libro. I punti e i personaggi più trasgressivi e problematici del romanzo sono stati limati o tagliati, così come è stato ricostruito l’happy ending.

Dati film

Titolo: Colazione da Tiffany
Titolo originale: Breakfast at Tiffany’s
Regista: Blake Edwards
Sceneggiatura: George Axelrod (romanzo: Truman Capote)
Interpreti:
·         Audrey Hepburn (Holly Golightly)
·         George Peppard (Paul “Fred” Varjak)
·         Mickey Rooney (Mr. Yunioshi)
·         Alan Reed (Sally Tomato)
Anno: 1961
Paese: USA
Colore: colore
Durata: 115 minuti
Genere: commedia