Autore: Paolo Giordano
Anno: 2008
Il libro…
Copertina - Mondadori |
Oh, finalmente un binomio libro-film che non vale la pena né di leggere né di vedere! Per quanto valore abbiano i miei suggerimenti, per la prima volta dalla nascita del blog sono certo di non consigliare a nessuno di utilizzare il proprio tempo perdendosi nelle esistenze tribolatissime dei due "numeri primi" tanto menzionati e celebrati negli ultimi anni. Per la serie: se potete statene alla larga...
Il romanzo d’esordio di Paolo Giordano è davvero poca cosa (alcuni lo chiamano “caso letterario”…). Una storia strappalacrime, zeppa di stereotipi, assolutamente artificiale e che, per reggersi in piedi per tutte le oltre 300 pagine, si basa su un lungo e un po’ furbetto ricatto emotivo.
Prima di proseguire eccovi la trama che per comodità e pigrizia copio e incollo servendomi di quanto scritto sul sito di Mondadori alla pagina dedicata al libro di Giordano.
Alice ha sette anni e odia la scuola di sci, ma suo padre la obbliga ad andarci. È una mattina di nebbia fitta, lei ha freddo e il latte della colazione le pesa sullo stomaco. In cima alla seggiovia si separa dai compagni e, nascosta nella nebbia, se la fa addosso. Per la vergogna decide di scendere a valle da sola, ma finisce fuori pista, spezzandosi una gamba. Resta sola, incapace di muoversi, al fondo di un canalone innevato, a domandarsi se i lupi ci sono anche in inverno.
Mattia è un ragazzino intelligente con una gemella ritardata, Michela. La presenza costante della sorella umilia Mattia di fronte ai suoi coetanei. Per questo, la prima volta che un compagno di classe li invita entrambi alla sua festa, Mattia decide di lasciare Michela nel parco, con la promessa che tornerà presto da lei.
Questi due episodi iniziali, con le loro conseguenze irreversibili, saranno il marchio impresso a fuoco nelle vite di Alice e di Mattia, adolescenti, giovani e infine adulti. Le loro esistenze, così profondamente segnate, si incroceranno e i due protagonisti si scopriranno strettamente uniti eppure invincibilmente divisi. Come quei numeri speciali, che i matematici chiamano primi gemelli: due numeri primi separati da un solo numero pari, vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero.Mattia è un ragazzino intelligente con una gemella ritardata, Michela. La presenza costante della sorella umilia Mattia di fronte ai suoi coetanei. Per questo, la prima volta che un compagno di classe li invita entrambi alla sua festa, Mattia decide di lasciare Michela nel parco, con la promessa che tornerà presto da lei.
Partiamo dai protagonisti, i famosi "numeri primi". Sono due cliché viventi, concentrato ambulante di sfighe esistenziali. In loro si raccoglie tutto quanto di deprimente può capitare a un essere umano durante le difficili età dell’infanza e dell’adolescenza: problematiche con il cibo, solitudine e incomprensioni, vessazioni da parte dei compagni bulli, genitori vuoti e aridi di sentimenti, incapacità nel rapportarsi con l’altro sesso, amici freak e al limite della schizofrenia, nessun interesse, onanismo mentale, bruttezza fisica. Insomma, di tutto di più. Questa concentrazione di negatività stereotipate li rende inevitabilmente piatti, privi di carattere e troppo sfortunati per essere veri. Non uno scatto, non un cambio di ritmo, non una mossa inaspettata. Così prevedibili da essere irreali, finti, di cartapesta dall’inizio alla fine della storia. Questa staticità e questa bidimensionalità portano noi lettori – che li seguiamo riga dopo riga, pagina dopo pagina – a non provare alcuna emozione. Non scatta nessuna empatia: né odio, né pietà, né sofferenza, né amore. Non si parteggia e non si fa il tifo contro. Semmai, dopo l’ennesima svolta prevista si comincia a provare una certa irritazione per la vuota e sciocca ostinazione di Alice e Matteo (non bisogna essere dei veggenti per sapere che cosa diranno, faranno o sceglieranno durante la storia).
Il fatto che la vicenda non sia ambientata in una specifica città (chi è attento, però, capisce che si tratta di Torino) e che non ci siano veri appigli sulla realtà (questi due ragazzi appaiono sospesi in un limbo atemporale) sono elementi che non aiutano a entrare in sintonia con le loro sofferenze, se non a un livello puramente superficiale.
Non a caso risulta fastidioso il ricorso a situazioni emotivamente al limite del ricatto. Parlo di quelle cose tristi e pietose che mettono il magone in chi le sente (una bambina scomparsa, un incidente invalidante, l’umiliazione quotidiana etc). Si tratta di storie struggenti e patetiche che hanno come unico scopo quello di sobillare le corde più sensibili, anche di quelle persone dalla scorza più dura e cinica (me, per esempio). Ma che non vanno oltre a questo obiettivo.
Anche lo stile ne risente, risultando piuttosto monotono e raramente in grado di graffiare o colpire. Dialoghi volutamente (?) poveri e vagamente surreali.
Un plauso, invece, al titolo, davvero bello, di quelli che ti rimangono in mente (e non sto facendo dell'ironia).
Incredibilmente celebrato e carico di premi (Strega e Campiello opera prima) il libro è stato tradotto in oltre 30 lingue…
“Nostra signora” Wikipedia, addirittura, lo colloca nel sottogenere di “romanzo di formazione”!!
…dal libro al film… La pellicola avrebbe potuto migliorare la storia, valorizzarne gli aspetti più interessanti e meritevoli e invece... perde l'occasione per farlo.
Alba Rohrwacher |
Non so a quanti possa interessare quello che sto per dire, ma negli ultimi anni mi era capitato solamente un’altra volta di interrompere la visione di un film per manifesta noia o irritazione. Mi è capitato di addormentarmi, ma per il sonno esistono valide giustificazioni. Per esempio, può essere il normale risultato di una giornata di lavoro particolarmente dura; inoltre, il dormire sprofondati sul sofà non è affatto misura di un prodotto cinematografico scadente (anzi, succede di addormentarsi anche davanti a capolavori indiscussi). Dicevo che negli ultimi anni mi è capitato di interrompere una “proiezione” solamente con il film oggetto del post e con la riduzione cinematografica de Le particelle elementari di Houellebecq (romanzo superbo, pellicola inguardabile… ne parlerò prima o poi).
Tornando al film di Saverio Costanzo pare di trovarsi di fronte a un prodotto a metà strada tra una fiction povera di mezzi e certe produzioni horror italiane anni Ottanta, tipo imitazione depotenziata di un film di Dario Argento (ma se si guarda il trailer vengono in mente anche i video di Maccio Capatonda...). In più, a complicare le cose, ci pensa la scelta del regista di narrare la vicenda passando di continuo dai flashback ai flashforward, ingarbugliando una storia che già di per sé non si fa proprio amare…
Degli attori, brava a prescindere (ma io sono di parte, avendo un debole per lei) Alba Rohrwacher nel ruolo di Alice da adulta.
CHARLIE CITRINEDati film:
Titolo: La solitudine dei numeri primi
Regista: Saverio CostanzoSceneggiatura: Saverio Costanzo (romanzo: Paolo Giordano)
Interpreti:
· Alba Rohrwacher (Alice)
· Luca Marinelli (Matteo)
· Isabella Rossellini (Adele)
· Maurizio Donadoni (Umberto Balossino)
Anno: 2010
Paese: Italia, Francia, Germania
Colore: Colore
Durata: 118 minuti
Genere: Drammatico
Internet Movie Data base
Sono assolutamente d'accordo con il tuo commento. Il libro sono riuscita a finirlo, nella visione del film ho resistito una quarantina di minuti...anche troppo! Aspetto il post su 'Le particelle elementari'.
RispondiEliminaNon ho letto il libro, né visto l film, più per miei pregiudizi che per una scelta consapevole, ma leggendo i tuoi giudizi ne sono confortato.
RispondiElimina...non sempre i pregiudizi sono da combattere... ;-)
RispondiEliminatutto vero, ma sono dell'idea che qualsiasi cosa, anche una lieve brezza appena percepita sulla guancia, possa lasciarti qualcosa.
RispondiEliminaMirian
Senza dubbio Miriam. Sicuramente il grandissimo clamore e lo straordinario successo avuto dal libro hanno inciso sul mio parere poco tenero...
RispondiEliminacontinua a seguirci!
Perché in tanti lo venerano e ne parlano quasi come fosse una "rivelazione"? NOn ho letto il libro, non ho visto il film. Ho sentito odore di... "fuffina", diciamo... non amo i "casi letterari".
RispondiEliminaMi sa che hai fiutato bene, Camilla...
RispondiEliminaTuttavia, se proprio ti dovesse cogliere un'irrefrenabile curiosità, bé... mi permteto di consigliarti di leggere il libro. Guardare il film è stato, davvero, uno sforzo che ho fatto solamente per senso del dovere nei riguardi del blog.
ops... ti ho chiamato Camilla... perdona Carolina...
RispondiEliminafilm meraviglioso !!!!pieno di contenuti importanti ma chi è anafettivo non può coglierli
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